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MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 1- Le origini


Gli avvenimenti del primo capitolo si svolgono nel 1926. Siamo a Racconigi, in casa della famiglia Piavotto. Il padre Nerio prospetta ai due figli maggiori la possibilità di andare a lavorare in Somalia. 

Siamo in era fascista e la Somalia è colonia italiana.
Tra il 1924 e il 1928 molti coloni si recarono in Somalia, per andare ad impiantare aziende agricole per la produzione del cotone.
La maggior parte di costoro erano torinesi, con forti legami con il Partito Fascista, questo perché il Governatore di Mogadiscio in quegli stessi anni era Cesare Maria De Vecchi di Torino.

In questo capitolo introduttivo vengono presentati i componenti della famiglia, composta dai genitori, da sette figli e dal vecchio nonno paterno. Il racconto parte dall'incontro e dal Matrimonio tra Vittorina e Nerio Piavotto avvenuto nel 1895.


dal Capitolo 1

Babbo Nerio si sedette a tavola, non prima di essersi fatto il segno della Croce e ringraziato il buon Dio per il pane quotidiano, e dopo di lui si sedettero la moglie Vittorina ed i sei figli Amelio, Lucia, Tonio, Nina, Ceti ed Elisa.
Il vecchio nonno invece era già seduto da un pezzo e certo non si alzava a dire una preghiera e poi non ascoltava nulla di quello che si diceva, anche perché era un po’ sordo e forse fingeva di esserlo ancora di più.
Sulla tavola, come succedeva da tempo, non c’erano tante cose se non pane, uova, formaggio ed una bottiglia di vino. Il vino però era di quello buono, perché lo faceva il genero Leonardo a Piobesi d’Alba, e là il Barbera ed il Nebiolo lo sanno far bene.


«A me no! – rispose Tonio – A me piacerebbe fare la bella vita… io sono appassionato del calcio e mi piace andare a Torino a vedere la Juventus.
In Africa penso che si debba vivere come zulù nelle capanne… poi dicono che c’è il deserto e che fa molto caldo tutto l’anno e che ci sono tante malattie che fanno morire…boia faus! Per niente al mondo andrò in Africa…e poi le belle ragazze, là dove le vai a trovare? A me le donne nere non piacciono!»
«Tonio, quanto sei sciocco! – rispose sorridendo Amelio – Le belle donne bianche ci sono anche là, anzi le donne che sono là sono donne di vita, le donne dei coloni...  sono italiane, inglesi, belle ed abbronzate. Se andassimo là, andremmo a fare i coloni bianchi ed i padroni, a farci servire e riverire dai neri, non dico che loro potrebbero essere i nostri schiavi, ma quasi… nel senso che noi daremmo solo ordini e loro dovrebbero soltanto obbedire! E poi alla fine chi ti dice che non si facciano affari? Mettiamo in piedi un’azienda, si dice che in Africa la terra sia molto fertile, che gli operai non manchino e costino poco… e poi quello che si produce si carica sulle navi e si spedisce in Italia o in America e tu incassi dollari, che te li mettono in banca qui in Italia, non certo in Somalia, che le banche non esistono! Là dicono che si vive con poco, così quando torni, i tuoi soldi guadagnati te li ritrovi tutti qui e puoi diventare ricco!»
«Tra te e nostro padre – gli rispose Tonio – stasera volete proprio non farmi dormire, mi state mettendo dei pensieri, porca miseria! No, e poi no, scordatevi l’Africa… potremmo fare tante cose qui… se proprio vuoi, vacci tu! Io aspetterò che ritorni ed allora dirai che avevo ragione ed io mi sbudellerò dal ridere quando mi racconterai che sei stato male, che là è brutto, che il sole dell’Africa è insopportabile!!»
La mattina seguente nessuno più nominò la parola Africa.




MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 2- I preparativi

Amelio e Tonio, i figli maggiori di Nerio Piavotto, incontrano a Torino il ricco imprenditore Fausto Pittarello, che propone loro di divenire suoi soci in una Società che lui sta creando, con la finalità di impiantare in Somalia una grande azienda di produzione di cotone. Per entrare in questa società occorre una consistente cifra di denaro, che i fratelli Piavotto non possiedono.
Questo capitolo 2 di "Mal(e) d'Africa" è forse il capitolo più lungo del romanzo. 
Amelio e Tonio debbono trovare qualcuno che faccia loro un grosso prestito. Amelio si rivolge al padre Nerio chiedendo di aiutarli a trovare il denaro.
Nerio decide di rivolgersi al genero Nadu, benestante agricoltore di Piovesi d'Alba, perchè finanzi attraverso un credito bancario i cognati.
Nadu accetta e ottiene dalla banca il denaro necessario, consentendo così a Tonio ed Amelio di entrare nella società di Pittarello e prepararsi per la partenza per l'Africa.
In questo capitolo viene presentato Nadu Trioglio, personaggio importante del romanzo, e si racconta della sua vita fino al Matrimonio con Verin Piavotto nel 1919. Verin è la maggiore dei sette figli di Vittorina e Nerio Piavotto, e per ora è l'unica sposata.
Anche Mariella Della Casa, nipote ventenne di Pittarello, fa la comparsa in questo capitolo e la conoscenza di Tonio Piavotto, che dieci anni dopo la sposerà. Mariella andrà in Somalia con lo zio a fargli da segretaria.



dal Capitolo 2

«Onorato di fare finalmente la loro conoscenza, sono il commendator Fausto Pittarello ed è grande per me il piacere di avere lor signori ospiti alla mia villa».
«Il piacere è tutto nostro – disse Amelio, a nome anche del fratello, accennando ad un leggero abbassamento del capo – noi siamo i fratelli Amelio e Antonio Piavotto da Racconigi».
«Accomodatevi, prego! Vorrei presentarvi i signori qui presenti, cari amici e soci in affari».
Entrò in quel momento nel salotto un cameriere che spingeva un carrello portavivande dove, sopra un paio di grandi vassoi d’argento, vi erano calici di cristallo e vol-au-vent ancora caldi e da un lato tre bottiglie di pregiato vino francese ancora col sughero. Il cameriere stappò le bottiglie ed iniziò a versare il vino nei calici, chiedendo prima a ciascuno se preferiva un rosso Bordeaux, un rosè della Provenza oppure uno frizzante Champagne.
«Amici, vorrei presentarvi questi miei ospiti, i signori Piavotto… con loro vorrei che brindassimo alla nuova società che stiamo creando tra noi e che, non appena avremo trovato l’ultimo socio che ci manca, verrà ufficialmente riconosciuta alla presenza del notaio e diverrà operativa… vorrei spiegare ai signori Piavotto di che cosa si occuperà la nostra società… chissà che i signori non ne siano interessati! La loro bella presenza mi fa pensare, senza ombra di dubbio, che si tratti di persone per bene».
A quel punto il commendator Pittarello invitò tutti i suoi ospiti ad accomodarsi sulle poltrone.



Avevano dato la parola al signor Pittarello che avrebbero fornito una risposta dopo una diecina di giorni, ma intanto ne erano passati già tre ed il problema non solo non era stato risolto, ma neppure era stato preso in considerazione.
Il quarto giorno però insolitamente Amelio si alzò di buon umore e mentre beveva il caffelatte a tavola con papà Nerio si rivolse a lui: 
«Babbo, voi non sapete quanto io apprezzi i sacrifici che voi fate per mantenere in maniera decorosa la nostra numerosa famiglia… che siano benedette le vostre mani che lavorano ogni giorno la poca terra che possediamo e sia benedetto il vostro cuore che è così grande e generoso! Ma noi non possiamo più essere di peso sulle vostre spalle, noi dobbiamo crearci un avvenire e poi poter costruire le nostre famiglie e sono certo che con l’aiuto di Dio noi ce la faremo… voi ci prospettaste di partire all’avventura per l’Africa, ci sembrò una follia, ma poi, ragionando, abbiamo capito che è una grande idea, che potrebbe tra dieci, vent’anni, farci ritornare ricchi e signori e dimenticare il nostro passato da poveri e magari fare vivere a voi genitori, che sarete divenuti vecchi, una vecchiaia serena e decorosa!
Voi ci avete sempre aiutato e sono certo che lo farete anche ora, che per poter partire e cambiare la vita a tutta la nostra famiglia, ci occorrono almeno 800.000 lire… aiutateci voi a trovarle, vi supplico!»
«Figliuolo, caro figliuolo! – rispose Nerio con gli occhi lucidi – Questa è una cifra immensa! Nessuno potrebbe aiutarci, a meno che…»
«Pa’, a meno che… cosa??»
«A meno che… a meno che io non provi a parlarne a tua sorella Verin».



Nadu piangeva certamente perché era persona estremamente sensibile, ma anche perché in quel momento venne preso dallo sconforto e nella sua mente lui stava ripetendo a se stesso:
“Nadu, tu non hai più la tua famiglia, un crudele destino ti ha strappato ad una ad una le persone più care… ora la tua famiglia è solo e soltanto tua moglie Verin, i tuoi bambini e poi loro, tutti loro, i Piavotto… loro sono la tua sola famiglia! I fratelli di tua moglie sono i tuoi unici fratelli che hai! I genitori di tua moglie sono i tuoi genitori che ancora ti sono rimasti! Non puoi non aiutarli, anzi devi… tu non aiuterai degli estranei, ma dei tuoi fratelli… non puoi dire di no…”



MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 3 - La partenza Il viaggio L'arrivo

Il 15 agosto 1926 a casa Piavotto si tiene una festa per salutare Amelio e Tonio, alla vigilia della loro partenza per l'Africa.
La sorella maggiore Verin, quasi presagendo ciò che sarebbe poi accaduto, chiede ai fratelli di rimanere con i piedi per terra e li esorta a non essere troppo ottimisti su facili guadagni che loro invece pensano di ottenere in breve tempo.
Amelio e Tonio si imbarcano a Genova e dopo un viaggio di 24 giorni arrivano a Mogadiscio.
Al loro arrivo scoprono un mondo totalmente diverso da quello che si erano immaginati.



dal Capitolo 3

Malgrado l’allegria – c’era pure una fisarmonica che suonava nel cortile – in tutti regnava un velo di malinconia e di tristezza.
E la malinconia e la tristezza erano visibili soprattutto negli occhi di mamma Vittorina e di babbo Nerio.
«Mamma, su! Non voglio che voi siate triste, dovete essere contenta e fiera nel vedere che i vostri figli maggiori partono per l’Africa come imprenditori… pensate a quei tanti ragazzi che continuano a partire per le Americhe e sono disoccupati e vanno con la speranza di trovare lavoro, ma senza la certezza che là in Brasile o in Argentina il lavoro li attenda… noi invece stiamo partendo come soci e titolari di un’impresa ed il lavoro lo andremo a creare noi in Africa per gli altri… beh, certo dovremo lavorare anche noi, ma come padroni, non come dipendenti salariati!» disse, rivolto alla madre, Tonio, che teneva in mano l’ennesimo bicchiere di vino.


Amelio e Tonio presero possesso della loro piccola stanza in cui avrebbero dovuto trascorrere le notti e parte dei giorni per quasi un intero mese.

Si diceva che la nave avrebbe attraccato nel porto di Mogadiscio intorno al 15 di settembre, ma che molto dipendeva dalle condizioni del mare. 
Poggiarono solo il loro bagaglio e poi ritornarono sopra sul ponte per vivere l’emozione della partenza e dell’uscita dal porto di Genova.
Era lì di fronte Genova, bella, misteriosa! quando la nave iniziò lentamente a muoversi, trainata da un rimorchiatore.
Ad entrambi venne un fortissimo nodo alla gola, si abbracciarono, si guardarono negli occhi e le lacrime iniziarono a scendere. 
«Fratello mio – disse Amelio con tanta sincera emozione – credo che non potremo mai dimenticare per tutta la vita, qualsiasi cosa ci possa accadere, questo momento… non so dirti se mi sento felice o triste, se sono contento o pentito di questa nostra partenza… so solo che casa nostra e mamma, e Ceti, ed Elisa mi mancheranno tantissimo!»
«Anche a me! – rispose Tonio – tuttavia sono convinto che un giorno ringrazieremo Dio che oggi siamo partiti… e Amelio, credimi! sono contento di partire con te… debbo ringraziare te, se oggi sono su questa nave… da solo o con altri, io non sarei mai partito… ti voglio un gran bene, lo sai!»
Si riabbracciarono e si strinsero molto, come possono fare due fratelli che si vogliono bene e piansero ancora…


Ad attenderli, in mezzo ad un brulichio di persone somale, che sembravano le formiche quando le disturbi, che vanno in fretta in tutte le direzioni, c’era elegante e distinto, in divisa “coloniale” il commendator Pittarello in persona, il loro socio in affari, il loro presidente.

Indossava calzoni corti di tela color avana, una camicia bianca con maniche corte con sotto un foulard di seta, un cappello di paglia fine con la visiera, calzettoni di lana naturale sottili e scarponi di pelle marrone.
«Ben arrivati in Somalia, cari Piavotto! Mi auguro che il viaggio sia stato piacevole… qui in questi giorni fa molto caldo, ma presto vi abituerete e poi la notte bisogna indossare indumenti di lana, perché la temperatura di notte cala molto e questo è un bene perché così ci si può riposare…»
«Carissimo commendatore – rispose Amelio – sì, è andato tutto bene durante il viaggio… e siamo lieti di essere arrivati e di fare la conoscenza di questa terra straniera…





MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 4 - L'azienda

Il capitolo 4 è interamente dedicato alla descrizione dell'azienda di produzione del cotone, che la società, presieduta da Pittarello, ha impostato in Somalia, e del lavoro che i fratelli Piavotto sono chiamati a svolgere.
A settembre 1926 Amelio e Tonio sbarcano a Mogadiscio e raggiungono Genale. Sono increduli e quasi preoccupati nel prendere coscienza di quanto sia diverso tutto ciò che li circonda dal mondo di casa in Italia. 
Il racconto va dal 1926 alla fine del 1928, quando incominciano ad essere evidenti i primi segnali della crisi economica mondiale che scoppierà nel '29.
La notte di capodanno del 1927, pochi mesi dopo il suo arrivo, Tonio inizia una relazione sentimentale con Mariella, la nipote di Pittarello.


dal Capitolo 4

Il commendator Pittarello ed i fratelli Piavotto, a bordo di una vecchia ed impolverata automobile, guidata da un autista somalo, raggiunsero l’azienda, la nuova azienda da poco creata, e che era stata denominata azienda Pittarello.

Per raggiungere la località chiamata Genale, dove si trovava l’azienda, si dovettero percorrere, impiegando parecchie ore, circa un centinaio di chilometri di strada sabbiosa, in direzione sud rispetto a Mogadiscio, costeggiando in pratica il mare, anche se non lo si riusciva a vedere, perché tra la strada ed il mare vi era la duna.
Si procedeva su una strada battuta e polverosa attraverso una specie di radura e lungo il percorso spesso ci si imbatteva in mandrie di mucche, magrissime, oppure di dromedari accompagnati da pastori somali avvolti in fute variopinte e coloratissime.



«Incredibile!! Guarda Amelio! È veramente tutto incredibile quaggiù!! – disse Tonio rivolto ad Amelio – Credo proprio che sarà dura adattarci a questo ambiente, mi sembra un altro mondo… incredibile!»
Poi Amelio chiese a Pittarello: «Ma noi… noi italiani, intendo dire… non vivremo mica in capanne di paglia! Ma la nostra casa dov’è, ora che siamo arrivati? Non vedo case, ma solo capanne…» 
«Ragazzi – rispose Pittarello – vi vedo preoccupati e mi sembrate un poco impauriti tranquilli! La nostra casa, nostra perché noi per ora vivremo tutti assieme, non è qui al villaggio, qui ci vivono i neri, la nostra casa è in azienda in una piccola oasi di palme e casuarine, in mezzo ai campi, che poi non sono campi come pensate, ma infiniti appezzamenti di terra lunghi diverse decine di giornate e dista da qui dieci minuti di macchina… è una casa di legno, ma abbastanza confortevole, tutto sommato!»
Arrivarono in azienda e la casa di legno era in effetti abbastanza piacevole, alle finestre non c’erano vetri, ma solo zanzariere e tutt’attorno casuarine ed altre piante che facevano ombra.


Per Amelio e Tonio, ma anche per gli altri, fu un momento di grande lavoro e fatica, al punto che alla sera crollavano tutti per la stanchezza.
Poi alla fine dell’anno le cose incominciarono ad essere abbastanza funzionanti, anche se ogni giorno sorgeva un problema, si decideva di fare una modifica, si cambiava un programma.
Era un lavoro tutto da inventare e da organizzare, per cercare di trovare il sistema migliore e definitivo.
I primi tempi poi furono anche duri e difficili, perché in officina tra le attrezzature mancava sempre qualcosa che doveva essere ordinato o comprato.
Giusto intorno a Natale, era dicembre del ‘26, ci fu un attimo di pausa e di rilassamento perché il più del lavoro era stato impostato, ma a gennaio bisognava iniziare il secondo ciclo e nuovamente ripetere per altri tre mesi tutto quello che già era stato fatto, ma a circa un chilometro più a sud.
Nella nuova casa in muratura, casa Pittarello, la notte di San Silvestro si festeggiò con una bella cena l’inizio dell’anno 1927.
I boys, istruiti da Tobia, che a novembre era arrivato da Torino, per essere il maggiordomo personale di Pittarello, cucinarono tutto alla piemontese e servirono diverse portate veramente eccellenti. C’era perfino dell’ottimo vino Barolo, che Pittarello si era fatto spedire! 


Pittarello percepì i primi segnali di quello che da lì ad un anno sarebbe accaduto, ma non ne parlò con nessuno.
Verso la fine del 1927 il prezzo di vendita, che si decideva con un’asta nel porto di Genova, calò molto, ma le materie prime che bisognava acquistare incominciarono ad aumentare.
La loro società, che aveva solo un anno di vita, è ovvio che non avrebbe potuto avere grandi utili nei primi due o tre anni, ma se già dopo il primo anno iniziavano a diminuire le entrate ed ad aumentare le spese, questo certo non era un buon segnale.
Ma ancora nessuno poteva immaginarsi ciò che nel ‘29 sarebbe poi accaduto, neppure Pittarello che era scaltro e lungimirante.
Il primo anno pieno di attività della società I.S.P.A si chiuse a dicembre del 1927 con un piccolo passivo, nulla di grave, ma certamente questo non permise assolutamente alcun dividendo tra i soci.



MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 5 - Il disastro del '29

Il quinto capitolo di "Mal(e) d'Africa" fa riferimento al 1929, l'anno della gravissima crisi economica mondiale, che piegò il mondo intero.
All'inizio del capitolo siamo nel 1928 e già le cose si stanno mettendo male. Pittarello rientra in Italia, per capire meglio quello che sta succedendo. Fa visita a Racconigi alla famiglia Piavotto per informare i famigliari di Amelio e Tonio della situazione che sta diventando drammatica.
Al suo rientro in Somalia si decide di sciogliere la società e che ciascun socio diventi titolare in proprio della sua quota di azienda. Anche Amelio e Tonio Piavotto da questo momento sono titolari ed imprenditori della loro azienda, Azienda Piavotto.
Si ipotizza tra i vari imprenditori la possibilità di produrre banane al posto del cotone. I fratelli Piavotto fanno il punto sulla loro situazione e, preso atto della consistente perdita di denaro e di capitale, mettono in dubbio se continuare o cedere tutto. Decidono di continuare e che Amelio faccia ritorno in Italia per un paio di mesi.



dal Capitolo 5

«La situazione sta di giorno in giorno precipitando 
– disse Pittarello rivolto a Leonardo – io sono dovuto rientrare perché qui in Italia ho altre imprese e purtoppo anche qui le difficoltà commerciali mi stanno aggredendo… i salari aumentano e pure tutto ciò che bisogna acquistare aumenta ogni giorno ed il mercato si sta fermando… gli ordinativi si fanno scarsi e tante aziende annullano ordinazioni già fatte ed i listini in Borsa calano ogni giorno…»
«Ma come può essere? – chiese Nadu con tono preoccupato – abbiamo investito tutto in questa azienda in Somalia… se le cose andranno male, per noi sarà solo una tragedia… dottore, lei che è uomo d’affari, saprà trovare la soluzione perché si possa porre un rimedio?!!»
«Purtroppo, signor Trioglio, anch’io sono impotente di fronte alla crisi economica che si sta annunciando a livello mondiale… stanno crollanndo i mercati e le Borse e questo porterà tutti noi indistantamente alla rovina!»


Amelio pianse quando vide quell’immenso falò, nello spiazzo dinnanzi al magazzino, con centinaia di quintali di cotone che andavano a fuoco. Ma purtroppo era l’unica scelta da fare e così il magazzino fu lentamente di nuovo riempito con del cotone fresco, nella speranza che le spedizioni avrebbero potuto riprendere.
Pittarello riuscì a trattare al porto di Mogadiscio con alcuni mercanti indiani, che ad un prezzo molto basso ne acquistarono una parte… ma questo solo per non continuare a bruciarlo, non certo per risanare i conti della società.


«Fantastico! – esclamò Amelio – Quindi, suggerisci di smettere il cotone e passare a produrre banane?»
«Potrebbe essere un’idea! – rispose Pittarello – Ci dovremo ragionare sopra e non è escluso che potrebbe essere la soluzione migliore per cercare di rimanere a galla…......
L’idea di Pittarello incuriosì molto tutti gli altri soci e così quel giorno si continuò a parlare di banane fino alla sera. 
Amelio e Tonio non conoscevano le banane, perché in Italia non si vendevano, e neppure avevano mai assaggiato, da quando erano in Somalia, una di quelle piccoline selvatiche.
La prima volta che ebbero occasione di andare a Merka andarono appositamente al mercato per comperare un po’ di quelle piccole banane.
Laddove vendevano un po’ di tutto da mangiare, frutta, carne, polli vivi e morti, uova, il tutto poggiato per terra o dentro grandi e luride ceste o cestoni, trovarono anche chi vendeva quelle piccole banane, maturissime e profumatissime; ne assaggiarono subito alcune e dovettero davvero ammettere che erano veramente prelibate e dolci come il miele e ciò servì da quel momento a considerare la banana come qualcosa di sacro per loro ed in effetti da quel giorno tutti i componenti della famiglia Piavotto furono colpiti da una “bananodipendenza”, come se l’essenza della banana fosse entrata a far parte del loro dna.
Effettivamente tutta la storia di quella famiglia, da quel lontano giorno del 19 luglio 1929 ruotò sempre e soltanto, nel bene e nel male, intorno alle banane.


Pittarello aveva acceso una grossa radio che riusciva a captare una trasmissione in lingua italiana.
Arrivò la notizia del crollo spaventoso della Borsa di Nuova York, la notizia che in tutte le capitali del mondo regnava il caos, che tutte le Borse del mondo stavano crollando, che centinaia di grandi aziende e di grandi società per azioni stavano in quelle ore sgretolandosi, perdendo tutto, fallendo…
«È la fine, signori miei… è la fine!!! – esclamò Pittarello, con un’espressione stravolta - È veramente la fine!!!!»


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