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MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 11 - Gli anni Trenta a Racconigi



Il capitolo 11 racconta del decennio tra il 1930 e il 1940 e delle forti trasformazioni all'interno della famiglia Piavotto, con il benessere che inizia a consolidarsi, visti i guadagni di Amelio e di Tonio.
Amelio vive a Torino e si prende cura della giovane sorella Elisa, che vive con lui e frequenta la Facoltà di Medicina. Contemporaneamente la nipote Gigliola, figlia di Verin Piavotto e Nadu Trioglio, si iscrive all'Accademia delle Belle Arti.
Elisa si reca spesso con Amelio a Cervinia, dove conosce la guida alpina Carrel e si appassiona all'alpinismo. A Cervinia conosce anche molte persone dell'alta aristocrazia torinese e in lei nasce il desiderio, che diverrà poi lo scopo di tutta la sua vita, di fare parte di quel mondo nobile e borghese.
Anche Gigliola potrebbe frequentare con loro quel mondo, ma per scelta preferisce interessarsi dello studio dell'Arte.
Amelio affronta con il cognato il problema della restituzione del denaro ricevuto nel '26, e gli comunica che i soldi li ha Tonio in Svizzera e che quindi dovrà essere lui a pagare.  




dal Capitolo 11


Da quando Amelio, insieme a Pittarello, era tornato in Italia e lavorava a Torino come presidente della Sapa, ovvero dal 1932, indubbiamente le cose per tutta la famiglia Piavotto a Racconigi cominciarono ad andare un po’ meglio.
Non perché fossero arrivati a quel tempo soldi dalla Somalia, ma perché Amelio guadagnava bene e riscuoteva tutti i mesi un ottimo stipendio da dirigente.
Certo Amelio cominciò a spendere molto per se stesso, acquistandosi un’automobile – erano in pochi allora ad averla! – prendendo un alloggio signorile in affitto ed arredandolo con mobili e tappezzerie di pregio, mantenendo un guardaroba elegante ed alla moda, con abiti cuciti su misura da un eccellente sarto di Torino.


Nel 1935 Elisa sostenne l’esame di maturità classica e la nipote Gigliola finì la terza ginnasiale. Elisa avrebbe desiderato iscriversi all’Università e continuare così gli studi e per fare questo avrebbe dovuto trasferirsi a Torino. Gigliola, con la sua passione ed il suo innato estro, avrebbe voluto passare al liceo artistico e per questo anche lei avrebbe dovuto andare in città.

Da un paio di anni Amelio incassava le rendite della sua azienda in Somalia, ovvero più esattamente quel poco di rendite che gli spettavano, dopo l’accordo che aveva preso con Tonio, tuttavia, rispetto agli anni passati, fu una cifra che cambiò radicalmente le sue possibilità e capacità economiche ed allora fu lui a sostenere in famiglia l’idea di far frequentare l’università ad Elisa.
Si decise che Elisa avrebbe abitato a Torino in casa di Amelio e che lui avrebbe pagato tutte le spese occorrenti al suo sostentamento.
«Ma se io verrò a Torino, voglio che ci venga anche Gigliola  – disse Elisa al fratello Amelio – anche lei potrebbe vivere con noi nella tua casa».


«Ma tu non dividi con lui i guadagni? – chiese Nadu, che era non poco stupito – Pensavo che i guadagni che provengono dalla Somalia, che mi par di capire che ora siano abbastanza abbondanti, arrivassero a casa… ma tu mi stai facendo capire che non è così».
«Sì, Nadu! Non è così… i guadagni, ed io so quanti sono, perché li conteggio, vanno tutti sul conto di Tonio che ha in Svizzera… lui dice che in Somalia ci lavora lui e quindi che i guadagni son suoi… lui manda qualcosa a casa a mamma, e mamma è contenta… l’avevo pregato di mandare ogni tanto qualcosa anche a te, ma si vede che evidentemente non mi ha dato ascolto».


Elisa, durante gli anni dell’università, andando più volte a Cervinia, ebbe occasione di conoscere molte persone che contavano nella borghesia torinese e questo era ciò che più di tutto lei desiderava. Indubbiamente ci seppe fare, presentandosi sempre molto elegante e raffinata, imparando un eccezionale bon ton, esternando sempre molto buon gusto!
A Cervinia lei fu presentata alla nobile Marella Caracciolo di Castagneto (che avrebbe poi sposato il rampollo di casa Agnelli, l’avvocato Gianni) e con lei seppe instaurare un rapporto di conoscenza, che le sarebbe poi ritornato molto utile alcuni decenni dopo.
Conobbe i cugini marchesi Rossi di Montelera (proprietari della Martini&Rossi) e divenne così molto amica di uno di loro, amicizia che sarebbe poi, durante gli anni a cavallo della guerra, diventata più intima, al punto da prospettare addirittura l’eventualità di un Matrimonio.



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Capitolo 12 - Mariella


Nel 1936 Tonio aveva sposato Mariella Della Casa, nipote del ricco commendator Fausto Pittarello. 
Il capitolo 12 è ambientato nel 1939 ed è dedicato a descrivere la vera natura di Mariella: una donna fragile e capricciosa, amante del lusso e della bella vita. Una donna che non disdegna bere alcolici e tradire il marito. 
Dopo due anni di matrimonio Mariella è stanca di lavorare come segretaria dell'Azienda del marito in Somalia e vorrebbe rientrare in Italia e condurre una vita da ricca signora, dal momento che i guadagni sono alti. Tonio decide di trascorrere una breve vacanza in Italia e concede alla moglie di fermarsi per tre mesi. Ma Mariella rimane in Italia sei mesi, con la scusa di accudire il padre malato.
In realtà inizia a frequentare i suoi vecchi amici ed un suo vecchio fidanzato. Lo zio Fausto la riprende e le ordina di non fare cose azzardate e di non creare scandali, che potrebbero mettere a rischio il suo matrimonio con Tonio.
Mariella a San Remo, dove il padre possiede una villetta, frequenta un uomo più anziano di lei e ne diventa l'amante. Solo quando si accorge che la storia potrebbe diventare seria, lo lascia e ritorna da Tonio in Somalia. Con alti e bassi il loro rapporto riesce a riprendersi e nel 1940 Mariella è in attesa del suo primo figlio. Nascerà poi a febbraio del '41 una bellissima bambina bionda alla quale verrà dato il nome di Vera. 




dal Capitolo 12


Mariella certo si era messa di impegno, ma il lavoro comunque le pesava e più volte disse al marito Tonio che avrebbe smesso di farlo prima o poi, perché lei era una signora ed una vera signora non va a lavorare, ma va in vacanza, si diverte, sta a casa.

Tonio aveva immaginato fin dall’inizio che sarebbe finita così, oramai poteva dire di conoscere bene sua moglie e non fu sorpreso quando lei gli fece capire di non averne più voglia.
Nel 1939, circa due anni dopo il Matrimonio, Tonio assunse un impiegato, mandato da Pittarello, e lo mise a lavorare al posto della moglie. Mariella per un paio di mesi continuò ad andare in ufficio, più che altro per istruire il nuovo segretario, poi smise e disse a Tonio che sarebbe rientrata per qualche mese in Italia.


«Tonio – gli rispose Mariella – noi siamo ricchi, perché continuiamo a fare questa vita? Andiamocene in Italia a goderci i nostri soldi e qui facciamo lavorare chi per vivere ha bisogno di uno stipendio tutti i mesi!»
«Mariella, se facessimo come dici, tra un anno qui non si spedirebbero più banane, capisci!... comunque vengo in Italia con te, mi fermerò al massimo un mese e poi ritornerò… tu potrai rimanere di più».


Lo zio, avvertito dalla sorella di Mariella, una sera la sorprese mentre entrava nel portone della casa di questo Diego. Non la fermò e non le impedì di salire, ma semplicemente con tono molto pacato le disse:
«Mariella, domani mattina vieni in ufficio da me, che di questa cosa dobbiamo parlarne».
Ne parlarono, ma lo zio non riuscì a convincerla che stava sbagliando… lei gli disse che una donna adulta è libera di andare con chi vuole, anche se sposata, che in fondo l’importante era non innamorarsi di nessuno, in questo modo non si sarebbe tradito il marito.
«Il tuo è davvero uno strano modo di ragionare e di considerare il legame coniugale – le rispose Pittarello, suo zio – per me certo sei libera di fare ciò che credi, ma ti ordino di non fare scandali o cose azzardate, perché la mia reputazione ne sarebbe compromessa… e poi esigo che il rapporto con Tonio non si distrugga, è a lui che io ho ceduto la mia azienda e lui ora la sta facendo rendere per farti star bene».


Mariella si decise a ripartire per la Somalia ed a ritornare da suo marito Tonio, quando dopo aver rivisto più volte Aurelio, si rese conto che lui stava innamorandosi di lei, e lei, che innamorata non era, preferì ritornare da quell’uomo un po’ rozzo che l’aspettava in Somalia, che lei aveva sposato perché gli voleva bene e che in quel momento un po’ le mancava.
Le cose con Tonio si aggiustarono, anche se lui ancora non capì perché lei fosse rimasta tanto tempo in Italia, lei gli fece intendere che fu per stare col padre, che non stava bene.
Era l’anno 1940 e Mariella si accordò col marito di tornare in Italia almeno una volta all’anno, minimo per una quarantina giorni.
Con alti e bassi – a volte Tonio e Mariella litigavano come pazzi, altre volte si amavano alla follia – passarono alcuni mesi, fino a che a metà di giugno Mariella capì di essere in attesa di un figlio.



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Capitolo 13 - Elisa Piavotto


Siamo sempre nel 1939, come nel precedente capitolo. Quando Tonio rientra in Italia con la moglie Mariella si reca a Lugano, in Svizzera, con la giovane sorella Elisa, insieme a Pittarello.
Presso la banca di Lugano, dove Tonio ha il suo conto, apre un nuovo conto cifrato, dove versa buona parte dei suoi capitali, e consegna alla sorella Elisa il codice segreto di accesso.
Elisa potrà operare a nome di Tonio su questo conto segreto, in cambio riceverà gli utili che esso produrrà e che verranno versati su un altro conto intestato a lei stessa, che Tonio le fa aprire a Torino presso il Credito Italiano. Presso la stessa banca noleggia una cassetta di sicurezza in cui conservare il codice segreto di accesso al conto di Lugano.
Da questo momento in poi Elisa avrà una buona rendita personale derivante dalla produzione di banane in Somalia. Questo fatto la allontana dal laurearsi in Medicina. Gli interessi di Elisa ora sono più mondani e lei dedica molto del suo tempo a frequentare persone della Torino altolocata.
Tonio si raccomanda con Elisa che nessuno venga mai a conoscenza che lei ha l'accesso al conto segreto e cifrato presso la banca di Lugano. 


dal Capitolo 13


Elisa sembrava felice per quella gita a Lugano, ma non immaginava certo che Tonio l’avesse voluta con sé per farle un’inaspettata e quanto mai imprevedibile proposta.
«Elisa, tu hai quasi ventiquattro anni… ti considero adulta e posso fidarmi di te… ho deciso di aprire in questa banca di Lugano, dove io ho tutti i miei soldi, un conto intestato a te… ci verserò parte dei miei soldi, che non saranno tuoi, ma tu potrai comunque operare su questo conto, lo faccio perché mi fido… del resto sarà tutto a tuo vantaggio, se ti comporterai correttamente con me… sarà un conto segreto nel senso che soltanto noi due saremo a conoscenza della sua esistenza, servirà per nascondere una parte dei miei soldi, nasconderli a chiunque, compresi mia moglie, tuo fratello e le tue sorelle… se un giorno tu avrai un fidanzato o un marito, neppure lui dovrà mai sapere che tu sei intestataria di questo conto»


Dopo un’ora tutta l’operazione fu conclusa e venne consegnata ad Elisa una busta che conteneva quel codice ed un foglio di contratto che non conteneva il suo nome.
Tonio fece travasare dal suo conto a questo nuovo conto una somma di denaro abbastanza ingente e poi si raccomandò ad Elisa di custodire quella busta con molta attenzione.
Il giorno seguente a Torino, Tonio accompagnò Elisa alla sede del Credito Italiano, che era in piazza San Carlo, e le fece aprire un conto corrente a suo nome, versando un suo assegno di 10.000 lire. Collegata a quel conto corrente, venne richiesto anche il noleggio di una cassetta di sicurezza e poco dopo, non appena le fu consegnata la chiave, un impiegato accompagnò Elisa nel caveau dove c’erano le cassette di sicurezza e lei potè nascondere in quella cassetta la busta che le avevano dato a Lugano e che conteneva il codice segreto del conto cifrato.


Anche il potersi laureare, e poi in Medicina, era solo un’ambizione per Elisa – ne aveva tante di ambizioni! – ed adesso poi che Tonio l’aveva rassicurata che le rendite dalla Somalia avrebbero fatto star bene anche lei, certamente Elisa aveva allontanato dalla sua mente l’idea di fare la professione del medico.
Ma il poter essere laureata negli ambienti che amava frequentare sarebbe stato un motivo di vanto, una qualifica importante che la crème dell’alta società torinese avrebbe considerato.


Elisa qualche volta andava a casa a Racconigi e, quando arrivava, le sorelle la snobbavano, perché lei arrivava elegante, sempre con il cappello, sempre con i guanti tra le mani.
Ma poi, si cambiava di abito e tornava ad indossare le sue vecchie camicette sbiadite, tornava per qualche ora, o a volte per qualche giorno, ad essere l’Elisa di un tempo: in cucina ad aiutare mamma Vittorina o in giardino a potare le rose....... Poi, finite le brevi vacanze, Elisa ritornava a Torino e ricominciavano i suoi tanti impegni mondani.
Tutto questo fino al 1941, quando a settembre papà Nerio, ahimè, se ne andò per sempre e tante cose cambiarono a Racconigi.
E poi stavano incominciando a soffiare venti di guerra ed a quel punto la situazione divenne più pesante e difficile per tutti.



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Capitolo 14 - Amori e lutti negli anni di guerra


Il 10 giugno del 1940 il Duce, Benito Mussolini, legge la dichiarazione di guerra e l’Italia di fatto entra a pieno titolo nel conflitto mondiale.
Tra il 1940 e il 1944, durante i terribili anni della guerra, accadono molti avvenimenti nella famiglia Piavotto.
Nel 1941 Amelio viene operato per l'asportazione di un tumore al fegato e la sua salute diventa cagionevole. La situazione in Somalia diventa difficile, dopo che il Governo sospende l'acquisto delle banane, a causa della guerra in corso. Amelio dovrebbe rientrare in Somalia, ma la sua salute non glielo consente, pertanto viene eletto un nuovo Presidente della Società Sapa.
A Racconigi sempre nel 1941 muore il capofamiglia Nerio Piavotto, a causa di un collasso cardiaco. Elisa, malgrado la guerra, ristruttura la casa e la trasforma in una elegante dimora di campagna. Il 26 gennaio 1943, in occasione del suo compleanno, Elisa organizza una grande festa con ospiti importanti. Tra questi il marchese Rossi di Montelera, che le propone di sposarlo. Elisa gli comunica che non si sente ancora pronta al Matrimonio.
Alla festa di Elisa, la nipote Gigliola annuncia il suo fidanzamento con Sauro Messieri, un ufficiale bolognese, che si trova in Sicilia per operazioni di guerra.
Nel primi mesi del 1944, in piena guerra, la malattia di Amelio si aggrava, portandolo alla morte il 13 aprile, a soli quarantaquattro anni. 
E' un colpo durissimo per mamma Vittorina e per Elisa, che era molto legata al fratello maggiore. 


dal Capitolo 14


Il 10 giugno del 1940 il Duce, Benito Mussolini, lesse la dichiarazione di guerra e l’Italia di fatto da quel giorno entrò a pieno titolo nel conflitto mondiale in corso.
Soltanto l’anno seguente tra la popolazione ci si rese veramente conto che qualcosa di molto drammatico e di disastroso stava per accadere.
Niente poteva più essere sicuro ed allora si iniziò a vivere tutti più alla giornata ed a non fare programmi a lunga scadenza. 
Fu così anche in casa Piavotto e rapidamente molte cose cambiarono.


Si decise che Amelio, per un anno o due, avrebbe dovuto tornare in Somalia per gestire direttamente sul luogo l’acquisto delle banane, considerando che i coltivatori erano oltre duecento tra Genale e Kisimaio.
Ma Amelio in quei mesi iniziò ad avere dei seri disturbi fisici e la sua salute in pochissimo tempo si fece precaria, al punto da preoccupare non poco l’amico Pittarello.
Amelio dovette dimettersi da presidente della Sapa ed in Somalia nel corso di un’assemblea tenutasi a Merka fu eletto al suo posto un altro produttore di Genale.
Venne ricoverato in ospedale a Torino per essere operato al fegato.


Era intenzione di Elisa trasformare un poco alla volta quella vecchia e grande dimora, che un tempo era una casa annessa ad un mulino, in una raffinata ed elegante villa di campagna.
Erano gli anni della guerra, ma il far queste cose la distraeva. E poi in quel periodo non era possibile, e neppure prudente, andare molto in giro e quindi era di più il tempo che lei aveva a disposizione, da dedicare a questi lavori.
Fuori c’era la guerra, le notizie che si sentivano alla radio erano sempre più drammatiche, ma all’interno di quell’alto muro di cinta che racchiudeva il grande giardino e la casa, e che la separavano dal resto del paese, stava nascendo villa Piavotto e la guerra sembrò non entrare.


Fu il 26 di gennaio ed Elisa compiva ventisette anni. Un grande rinfresco pronto sui tavoli, un enorme mazzo di rose fuori stagione sistemato all’ingresso, mamma Vittorina, elegante, seduta in salotto sulla poltrona a “mezzo punto” e gli ospiti che incominciarono ad arrivare.
C’erano alcuni ex colleghi dell’Università, che ora erano già dottori, che venivano da Torino e tra loro anche quel Gianni Bulléra, che stava prendendo la specialità in Cardiologia, e che ormai da anni continuava a corteggiarla.
Ma quel giorno l’ospite più importante e più atteso fu il marchese Rossi di Montelera.


Io fui sincero e parlai con il cuore, quando ti scrissi che ero pronto a portare avanti con te un progetto di Matrimonio… ora ti chiedo di comunicarmi se sei pronta a darmi una risposta, o se invece ritieni di doverci ancora pensare… Elisa, mia cara Elisa… tu vorresti sposarmi?»
Elisa in quel momento sentì il sangue andarle alla testa ed il cuore batterle forte, fu felice, certo, tantissimo! E poi in fondo, malgrado tanti le facessero il filo e la corteggiassero, era la prima volta che un uomo le chiedeva esplicitamente di sposarla e quell’uomo era giovane e bello, nobile e ricco, ma rispondergli di sì in quel momento sarebbe stato impossibile.
«Caro, sono onorata dalla tua richiesta – gli rispose Elisa – non ho dubbi sulla tua sincerità e neppure sul fatto che, sì, tu mi piaci e che l’idea certamente mi attira, ma il problema è che io non so ancora se sia già giunto per me il tempo di essere moglie… e chissà poi madre di un figlio, o più figli! Amo molto per ora vivere sola ed un legame, al momento, mi spaventa… mi sento ancora impreparata, perdonami!»
«Non c’è nulla da perdonare… è giusto così! Aspetterò il giorno che tu dirai di essere pronta».
Rientrarono nella sala dov’erano gli altri e la festa continuò.


All’alba del 13 di aprile del 1944, in piena guerra, Amelio spirò dopo un giorno di agonia, in uno stato di ormai continua incoscienza.
Questa nuova morte di un fratello, anch’egli certo tutt’altro che vecchio, fece piombare Elisa in un periodo di grande e forte dolore e ci vollero poi dei mesi perché si riprendesse.
Anche mamma Vittorina si chiuse in se stessa e per diverse settimane non parlò più con nessuno. In poco più di dieci anni due dei suoi sette figli se ne erano andati per sempre e questo fu terribile per lei da accettare, come per qualsiasi altra madre, sempre e dovunque!





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Capitolo 15 - L'eredità di Amelio Piavotto


Amelio Piavotto, morto durante la guerra nel 1944, lascia un discreto capitale. Da questo momento iniziano i contrasti e i sotterfugi nella famiglia Piavotto, a causa del potere del denaro, che condiziona alcuni componenti della stessa famiglia.
Verin Piavotto, la sorella maggiore, si reca a Racconigi per rimanere alcuni giorni con la madre e le sorelle. Affronta con loro la questione della divisione dei beni di Amelio. Elisa la informa che potrebbe esserci un testamento. In effetti un testamento olografo esiste ed Elisa lo sta nascondendo.  E' un testamento a suo favore, che lei stessa aveva fatto scrivere sotto dettatura da Amelio pochi mesi prima della sua morte. Elisa lo fa pubblicare dal Notaio e viene registrata la Successione, che esclude alcuni della famiglia.
Verin, accompagnata dalla figlia Gigliola, si reca dal Notaio a Torino e in questo modo scopre l'inganno e le falsità della sorella Elisa. Viene pure a sapere che in precedenza Amelio aveva depositato un testamento a favore di tutti i componenti della famiglia.
Verin e Gigliola sono particolarmente arrabbiate ed offese dal comportamento di Elisa.


dal Capitolo 15


Povero Amelio! Se n’era andato poco più che quarantenne, lasciando tutti quanti sgomenti in casa Piavotto ed al suo posto rimase un gran vuoto; lui era il figlio maschio più grande e sicuramente, tra i sette figli di Vittorina e di Nerio, era stato il più buono ed il più saggio… solo Verin era come lui!

Non aveva mai avuto una fidanzata, non si era sposato e non aveva avuto figli, eppure la sua vita gli era piaciuta e le soddisfazioni ottenute lo avevano reso un uomo abbastanza felice.
L’unica cosa che lo aveva sempre fatto star male era il ricordo del giovane fratello Ceti, morto a soli diciannove anni per essere stato colpito in Somalia da un attacco di appendicite, se lui non se lo fosse portato dietro in quel maledetto 1930, non sarebbe morto, perché in Italia lo avrebbero operato in tempo.
Amelio si sentì sempre in colpa per questo.


«Per la roba di Amelio, allora poi come facciamo? – chiese Verin, rivolgendosi alle sorelle, ma in particolare ad Elisa – Ci sarà da andare dal notaio a fare le divisioni tra noi sorelle e la mamma… e poi qualcosa toccherà anche a Tonio».

«Sì, da un notaio bisognerà andare sicuramente, ma dal suo notaio di Torino, dove lui è sempre andato… andrò io la prossima settimana a chiedere se Amelio gli ha lasciato un testamento…» rispose Elisa, un po’ tesa.
«Ma credi che abbia fatto un testamento? Lui forse te ne aveva parlato?»
«No, Verin… Amelio non mi ha mai parlato di queste cose… ma a volte, succede che uno faccia testamento e che nessuno ne sia al corrente».
Verin rimase in silenzio, ma tra sé e sé cercò di capire se poteva essere possibile che Amelio avesse deciso di lasciare tutto quello che aveva soltanto a qualcuno, piuttosto che a tutti quelli della sua famiglia.


Elisa lo contraddisse e spiegò che secondo lei non era giusto, che pure lei e Lucia, le due sorelle che non erano sposate, avrebbero dovuto ricevere da lui, fratello maggiore, un aiuto ed un sostentamento, visto che non vi era un marito che lo faceva.

Quando Amelio ed Elisa fecero questo discorso lui era già molto debilitato dal male e di fiato ne aveva poco, e pure poca per lui era la voglia di parlare di queste cose. Accettò quindi, senza star tanto a discutere, quello che Elisa gli chiese di fare.
Elisa gli portò un foglio di carta da protocollo ed una penna e gli dettò quello che lui dovette scrivere:
"Io, Amelio Piavotto lascio a mia mamma Vittorina Mairano vedova Piavotto ed a mia sorella Lucia Piavotto l’azienda agricola che possiedo in Somalia, lascio a mia sorella Elisa Piavotto l’immobile che possiedo a Torino ed il denaro che è depositato sul conto, a me stesso intestato, presso il Banco del Credito Italiano."


La segretaria appoggiò sul grande tavolo scuro una carpetta verde con sù scritto in grande “successione Piavotto Amelio” e poi il notaio estrasse il foglio protocollo scritto personalmente da Amelio e lo diede in mano a Verin, che lo lesse insieme a Gigliola, la quale immediatamente chiese al notaio: «Ma questo, scusi, glielo ha consegnato mia zia Elisa Piavotto? Quindi lo aveva in casa lei a Racconigi!»

«Certamente! O almeno così io suppongo» rispose il notaio.
«Mamma, vedi che abbiamo fatto bene a venire! Così abbiamo scoperto che Elisa ti mentì quel giorno a Racconigi, come mi hai raccontato!»
«Signora, sua sorella Elisa, quando me lo portò, mi disse che il suo defunto fratello Amelio le consegnò queste sue volontà poco prima di morire… non sta a me giudicare, io debbo soltanto attuare le sue decisioni, che certamente sono cambiate, visto che due anni fa mi lasciò invece queste, che ora vi leggo».


«Amelio avrebbe lasciato un po’ a tutti in parti uguali, ma quelle gli hanno fatto fare un testamento a loro favore… specialmente Elisa! Se lei si ritrova che tutti soldi di Amelio e la casa a Torino adesso son suoi, è solo perché lei lo ha obbligato a fare così… ne sono più che sicura!»

«Ah, certamente! – ammise Verin – Sta di fatto che hanno escluso me, Nina e Tonio… ma Tonio è già talmente ricco di suo che, vedrai, se ne infischierà, ma noi! Noi no, non vedremo mai i nostri soldi che gli prestammo… se nel 1926 non ci fosse stato tuo padre, loro sarebbero ancora qui a mangiare pane e cipolle!»



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