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MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 21 - La morte di Fausto Pittarello  





Dopo la separazione di fatto tra Tonio e Mariella, avvenuta nel 1951, viene intrapresa una causa di separazione legale tra i coniugi Piavotto, che si conclude nel 1954 con la sentenza del Tribunale di Torino a favore di Tonio. Vera viene affidata a lui e Manuela invece per ora è lasciata alla madre, perché ancora troppo piccola.
Il 3 ottobre 1955, dopo sei mesi di permanenza in Somalia, Tonio rientra a Torino e trova Pittarello notevolmente invecchiato e ammalato. Durante un intimo colloquio con lui, Pittarello confida a Tonio di sentirsi finito e gli comunica che con testamento ha deciso di lasciarlo erede di una buona parte dei suoi beni. A gennaio '56 Fausto Pittarello muore e a Superga, sulle colline torinesi, si svolgono i suoi funerali. Dopo circa due mesi il notaio convoca la nipote Mariella e il suo ex marito Tonio per comunicare il testamento dello zio Pittarello.
Tonio risulta il maggior erede, assieme all'ammistratore delegato dell'Istituto Cottolengo. A Mariella solo una piccola parte dei beni dello zio e questo fatto incrina ancora di più il difficile rapporto tra Tonio e Mariella. 




dal Capitolo 21


Tonio rientrò in Somalia da solo, piuttosto affranto e comunque si sentì in quel momento una persona infelice.

In fondo Mariella era sua moglie e da diversi anni aveva vissuto con lui, malgrado tanti alti e bassi nel loro rapporto non del tutto tranquillo.
In quel momento l’avere deciso la separazione gli sembrò quasi inverosimile ed a casa, in azienda, fu l’assenza di sua figlia Vera a pesargli di più. Mariella, con la figlia Vera e la piccola Manuela, trascorse comunque i tre mesi estivi in Somalia, più che altro per non far pesare troppo alla bambina più grande la loro separazione ed il distacco da quell’ambiente africano, che in quei dieci anni era stato di fatto il suo piccolo mondo.


La causa di separazione legale si concluse solo nel 1954 ed il Giudice dovette stabilire che la colpa era da attribuire a Mariella.
Vera venne affidata a Tonio e Manuela invece per ora fu lasciata alla madre, perché ancora troppo piccola.
Tonio continuò a trascorrere i mesi invernali a Torino e Vera in quei mesi viveva con lui, poi non appena lui ripartiva per la Somalia, di solito verso i primi giorni di aprile, lei si trasferiva da mamma Mariella fino alla chiusura dell’anno scolastico. Nei primi giorni di giugno Mariella accompagnava Vera all’aereoporto di Caselle e la affidava ad una hostess, che l’assistiva fino a Fiumicino, dove un’altra hostess la prendeva in consegna e stava con lei fino a Mogadiscio.


«Ma non dire questo, Fausto, ci saranno delle cure che potranno guarirti, non temere!» esclamò Tonio.
«Caro nipote… mi piace chiamarti così! Gli anni ci sono e forse sta per arrivare la mia ora… mi piacerebbe solo finire i miei giorni in pace e senza soffrire… ho vissuto bene e tante soddisfazioni la vita mi ha regalato! Ma la situazione di Mariella, che vive separata da te, che eri suo marito, e con una bambina piccola mi addolora tantissimo… e mi addolora di più dover prendere atto che lei questa situazione se l’è andata a cercare ed in pratica si è data la zappa sui piedi da sola… ho pena per lei, ma non la perdono!»


Lo vide veramente in brutte condizioni ed allora andò a parlare con il primario ed ebbe la conferma che la situazione era molto seria e che la possibilità che Pittarello potesse superare questa crisi cardiaca era molto improbabile.
Tonio si raccomandò a sua moglie di tenerlo aggiornato della situazione e poi salì al reparto dove era ricoverata sua sorella Verin.
Due giorni dopo, alle otto del mattino, Mariella gli telefonò e gli comunicò che nella notte zio Fausto era morto.
I funerali di Fausto Pittarello furono celebrati nella Basilica di Superga e vi partecipò mezza Torino.


A Tonio lo zio Pittarello lasciò la villa Fiorita di Superga, con tutti gli arredi ed i quadri antichi che conteneva, una somma di denaro di 150.000.000 di lire e la concessionaria delle motociclette americane.
Tutto il resto, che era ancora tanto – altri immobili vari ed altri 150.000.000 – fu donato da Pittarello all’Istituto Cottolengo, nella persona dell’amministratore delegato che era stata convocata dal notaio.
Mariella lasciò lo studio notarile senza neppure salutare Tonio e da quel giorno i rapporti con lui divennero ancora più tesi e difficili, se mai non lo fossero già abbastanza, dopo la sentenza di separazione legale.




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Capitolo 22 - I guai in casa Messieri   





Gigliola Trioglio aveva nel '46 sposato Sauro Messieri e dal matrimonio erano nati tre figli.
Sauro aveva intrapreso un lavoro come impiegato presso la camiceria di un cognato, ma a fine '53 perde il lavoro a causa del fallimento della ditta. Si era prospettata per lui in quello stesso anno una carriera da Deputato al Parlamento, dal momento che durante la campagna elettorale per le Politiche del '53 aveva ottenuto grandi consensi in comizi elettorali, ma la moglie Gigliola lo aveva convinto a rinunciare alla candidatura, in quanto l'andata a Roma lo avrebbe troppo allontanato dalla famiglia e dai suoi bambini.
Nel 1954 il cognato apre una Agenzia assicurativa e coinvolge Sauro in operazioni poco pulite, offrendogli la direzione e facendogli firmare ingenuamente cambiali per importi piuttosto alti.
Nel giro di un paio di anni Sauro si ritrova coinvolto in grossi debiti, a cui non riesce a far fronte. Il suocero Nadu inizialmente riesce ad aiutarlo, ma a fine '55, quando anche l'Agenzia di assicurazione fallisce, Sauro si trova davvero con l'acqua alla gola. Ingiunzioni giudiziarie, denunce penali, disoccupazione e nulla da mettere in tavola per sfamare i tre figli.
Gigliola disperata deve intrattenersi per alcuni mesi a Torino per assistere in ospedale la mamma Verin, gravemente ammalata. Durante una visita dello zio Tonio alla sorella Verin, Gigliola rivolge allo zio una drammatica richiesta di aiuto, ma la sua risposta è negativa, a meno che lei non si separi immediatamente dal marito. Gigliola caccia lo zio dalla stanza dell'ospedale e gli impone di non metterci più piede.  




dal Capitolo 22


In vista delle elezioni del 1953, Sauro fu molto impegnato a sostenere alcuni suoi amici democristiani, e così lui, che aveva una buona parlantina ed ottime argomentazione, tenne per loro diversi comizi nelle piazze di Bologna e della Provincia. Il suo successo personale in quelle piazze però fu tale che la segreteria della Democrazia Cristiana di Bologna gli propose la candidatura come deputato della Repubblica nelle liste bolognesi. Sauro inizialmente fu molto lusingato da questa proposta e l’idea di andare a Roma come deputato del Parlamento lo coinvolse e per alcune settimane gli fece anche sognare un avvenire migliore per sé e per la sua giovane famiglia. Poi iniziarono le discussioni con la moglie Gigliola sull’opportunità o meno di intraprendere una carriera politica, che comunque lo avrebbe allontanato non poco da lei e dai suoi tre bambini. Certo avrebbe avuto un buon stipendio, ma Gigliola riuscì a convincerlo che sarebbe stato meglio uno stipendio basso a Bologna, pur di essere presente ogni giorno accanto a lei ed accanto ai tre figlioli che crescevano in fretta.


Era una cambiale di 1.000.000 di lire e per ritirarla si dovettero usare soldi che invece l’agenzia di Bologna avrebbe dovuto versare nel conto della sede di Milano, in quanto incassi di nuove polizze stipulate.
Quando per tappare un buco si usa denaro che dovrebbe servire ad altro, fatalmente si innesta un meccanismo perverso che ti porta a creare un vortice di debiti senza fine. Sauro per mettere una pezza su una questione urgente da risolvere in pratica ne apriva un’altra, che il giorno dopo sarebbe stato ancora più difficile risolvere.
Nel giro di pochi mesi i debiti si moltiplicarono ed a settembre del 1955 a Sauro occorrevano urgentemente 10.000.000 di lire, perché i creditori incalzavano e minacciavano denunce penali.


La moglie Gigliola dovette a quel punto correre in Piemonte dai suoi genitori Nadu e Verin e, piangendo, supplicarli di aiutare e sostenere suo marito, il loro genero Sauro. Gigliola era davvero affranta e rammaricata, anche perché mamma Verin, che l’anno prima era stata operata di calcoli al fegato, non stava affatto bene. Darle in quel momento un così grande dispiacere, non era certo la miglior cosa per affrontare la malattia che la stava logorando.


Gigliola scoppiò a piangere e quelle parole così crudeli da parte del fratello di sua mamma furono per lei una pugnalata alla schiena, che le procurarono un infinito dolore.
Poi lo supplicò di non rifiutarsi di aiutare sua sorella e suo cognato e, alludendo alle proprietà della nonna, gli chiese di anticiparle una parte di quello che prima o poi sarebbe stata l’eredità spettante a sua mamma Verin.
Tonio le rispose: «Io posso saldare il debito che hai con l’ospedale, e questo sarà un anticipo sulla futura eredità della nonna, ma per quanto riguarda i debiti di tuo marito io non ho alcuna intenzione di farti un prestito… se hai sposato un disgraziato ed un farabutto peggio per te! Se tu non c’entri con i suoi debiti e le sue truffe c’è una sola soluzione ed è l’unica soluzione possibile, lascialo, separati da lui e torna a casa tua, qui in Piemonte, con i tuoi bambini, in questo caso io sarò pronto a darti una mano!»



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Capitolo 23 - Il dramma di Gigliola
  


Questo capitolo è particolarmente drammatico. Racconta della grave malattia che colpisce Verin Piavotto, la mamma di Gigliola, portandola in pochi mesi alla morte. Tutto questo proprio nel momento in cui Gigliola è già fortemente messa alla prova dalle gravissime difficoltà economiche, conseguenti il fallimento della società assicurativa che il marito Sauro gestiva. 
Molto intenso è il passaggio del capitolo, quando i medici dell'ospedale di Torino comunicano a Gigliola la diagnosi di Leucemia e la certezza che mamma Verin ha i mesi contati. Gigliola trascorre tre mesi al suo capezzale, abbandonando di fatto la famiglia e i suoi bambini e la sua grande sofferenza è per la lontananza del fratello Vico, che si trova in Somalia. Il capitolo termina con il funerale di Verin nel febbraio del '56, proprio durante l'abbondante nevicata, passata alla storia come la peggiore del secolo, dopo quella del '29.


dal Capitolo 23


Arrivò l’estate e Gigliola, appena finita la scuola del bambino più grande, si trasferì con i figli a casa di mamma per trascorre i mesi estivi con lei.
Fu molto triste vedere che mamma non riusciva più a fare tutti i lavori che normalmente faceva, perché dopo un’ora che era in piedi doveva sdraiarsi o sedersi in poltrona, altrimenti si sentiva svenire.
Ne parlò con la zia Elisa di Racconigi, che se ne intendeva, dal momento che aveva studiato medicina all’università. Lei consigliò di farla visitare dal suo fidanzato Gianni in ospedale a Torino.


Al quinto giorno dal ricovero la diagnosi fu pronta ed allora Gianni Bulléra invitò Gigliola a recarsi nel suo studio al piano terreno dell’ospedale.
Gigliola fu sorpresa di trovare anche il primario Dogliotti seduto alla scrivania accanto a Gianni.
«Cara Gigliola, abbiamo fatto a tua mamma tutti gli esami possibili ed alcuni li abbiamo pure ripetuti, per essere più che certi dei risultati. Mi sono molto consultato con il professore per risolvere alcuni dubbi e sospetti che mi erano venuti dopo avere fatto l’esame del sangue… purtroppo preparati, perché debbo darti una notizia assolutamente non bella! Tua mamma, con assoluta certezza, ha la leucemia e le rimangono da vivere, se va bene, un paio di mesi».
Gigliola scoppiò in un pianto dirotto e poi esclamò: «Gianni, non è possibile! Non è possibile che tra qualche mese la mamma non ci sia più… è ancora giovane e ha ancora tanto da fare! Ed io, e papà ed i bimbi abbiamo ancora tanto bisogno di lei!»


Uscì dallo studio e si recò al bar a prendere un caffè e poi si accese una sigaretta e chiese dov’era un telefono pubblico. Chiamò a Bologna il marito Sauro e quando lui le rispose un forte nodo alla gola le impedì di parlare.
«Pronto! Gigliola, angelo mio! Che cos’hai, stai piangendo, che cosa è successo?»
«Sauro, ti prego, parti subito, raggiungimi… in questo momento ho solamente bisogno di te… mi sembra di impazzire… tu sei l’unica persona al mondo che può aiutarmi, mi sento disperata, mi sento morire…»
Effettivamente Gigliola era sull’orlo di un esaurimento nervoso ed anche fisico.


Gigliola era molto preoccupata per suo fratello Vico che era in Somalia, ignaro della gravità delle condizioni della mamma. Chiese allo zio di concedere a Vico di partire subito per l’Italia, magari anche in aereo, per fare ancora in tempo a rivederla.
La venuta di Vico in Italia era programmata per l’estate, ma assolutamente era necessario anticiparla. Per poter fare questo però occorreva che Tonio anticipasse la sua andata in Somalia, e su questo lui non era d’accordo. Disse a Gigliola che Verin era sua sorella e che se fosse mancata avrebbe voluto essere presente.
Gigliola allora seccata gli disse: «Zio, nessuno desidera impedirti di essere presente alla morte di tua sorella, ma tu però non puoi impedire a Vico, che è suo figlio, di rivedere ancora sua mamma in vita per l’ultima volta».


In quel momento fuori si stava abbattendo una vera tormenta di neve e dopo poche ore la strada che da Piobesi scendeva alla cascina era già impraticabile. A mezzogiorno ce n’erano quasi sessanta centimetri ed alla sera la neve, che non aveva mai smesso di scendere, superò il metro di altezza.
Il giorno dopo si sarebbe dovuto celebrare il funerale ed era prevedibile la presenza di moltissime persone.
Gigliola, malgrado fosse frastornata e distrutta dal dolore, dovette preoccuparsi pure della neve.
Ma tutti gli uomini di Piobesi, oltre duecento persone, si organizzarono ancora prima di lei ed incominciarono a spalare neve lungo tutto il tragitto dalla cascina alla chiesa ed al cimitero. Erano oltre millecinquecento metri di strada che ininterrottamente loro cercarono di tenere pulita fino al pomeriggio del giorno seguente.
Il corteo funebre partì da casa alle tre del pomeriggio del 24 febbraio e per la neve ed il ghiaccio non fu possibile adoperare né un’automobile, né eventualmente un carro trainato da una coppia di buoi.




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Capitolo 24 - Vico si sposa 
  


Il breve capitolo racconta del Matrimonio di Vico con Sonia, cugina del cognato Sauro.
Vico era rientrato anticipatamente in Italia per poter ancora rivedere in vita la mamma Verin, che muore pochi giorni dopo il suo arrivo. 
Vico è particolarmente afflitto e mette in dubbio il suo ritorno in Somalia, ma la sorella Gigliola e il cognato Sauro lo convincono che non vi è altra soluzione. Vico che tre anni prima si era fidanzato con Sonia, le chiede inaspettatamente di sposarlo e partire con lui. Sonia accetta e il Matrimonio si celebra in lutto stretto, solo due mesi dopo la morte di Verin. Immediatamente dopo Vico e Sonia partono per la Somalia.
Gigliola nel salutarlo quasi presagisce che altre disgrazie stiano per accadere ed è per questo particolarmente afflitta nel momento degli addii.
Nel capitolo 24 vi è anche una triste e malinconica descrizione del dolore lacerante che la morte della moglie provoca a papà Nadu, lui che tanto sensibile considerava la stessa moglie un pò come una seconda mamma! 


dal Capitolo 24


La morte di mamma per Vico fu un colpo davvero fortissimo.
Praticamente negli ultimi sei anni aveva potuto stare con lei solo tre mesi nel 1953 e dieci giorni ora a febbraio del 1956, assistendola nella sua lenta agonia.
Lo sconforto di Vico, i giorni seguenti il funerale di mamma, fu davvero grande, per fortuna la sorella Gigliola ed il cognato Sauro furono capaci di stargli molto vicino.
Vico stava mettendo in dubbio se ritornare a lavorare in Somalia con lo zio Tonio, ma poi, se solo qualcuno di quelli che più gli stettero vicino riusciva a farlo ragionare, lui si convinceva che il non ritornare sarebbe stata una follia.


Il tormento di Vico, che dopo neanche tre mesi avrebbe dovuto ripartire, fu l’idea che in Somalia si sarebbe sentito estremamente solo, con quel lutto da elaborare e con la malinconia che lo avrebbe corroso.
In Somalia non c’erano più gli zii e la cuginetta con i quali trascorrere i dopo cena come un tempo. Questi assillanti pensieri diedero a Vico il coraggio necessario per chiedere a Sonia, che certamente era innamorata di lui, se avesse accettato di sposarlo in quattro e quattr’otto ed immediatamente partire con lui per l’Africa.
Il timore per Vico era che si ripetesse quello che già era successo sei anni prima con Elena, quando lei non si sentì di partire e ruppe il fidanzamento.


Sauro e Gigliola accompagnarono gli sposi a Bologna alla stazione ferroviaria. Qui presero il treno per Napoli, dove li aspettava la nave che li avrebbe portati fino a Mogadiscio.
Per l’ennesima volta si ripetè quel rito del primo viaggio verso un’ignota ed al tempo stesso affascinante Africa per un componente della famiglia Piavotto
Quella volta toccò alla moglie di un nipote, per lei le solite emozioni all’arrivo, quell’odore di terra africana, quei dromedari, quelle vacche magre, e poi il villaggio, i bambini, le piante tropicali e quella strana sabbia di un colore quasi rossiccio.



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Capitolo 25 - La fine di Nadu
  


Il capitolo 25 è probabilmente il più drammatico e struggente del romanzo. Gigliola è al culmine del dramma che l'ha colpita, dopo la prematura e improvvisa morte della mamma Verin. La situazione economica della sua famiglia è disastrosa, dopo il fallimento della società assicurativa del marito Sauro e le spese per la degenza e le inutili cure alla mamma, che sono state ingentissime. In un drammatico incontro con lo zio Tonio, rientrato dall'Africa, Gigliola lo supplica di aiutarla. Lui le firma un assegno milionario, ma glielo consegna solo in cambio dell'immediata separazione dal marito Sauro. Lei finge di accettare, poi brucia l'assegno davanti allo zio ed esce dal suo ufficio, sbattendo la porta. A Bologna gli ufficiali giudiziari pignorano e sequestrano tutti i mobili di casa. Come un fulmine a ciel sereno, arriva la notizia del grave malore che ha colpito papà Nadu. Gigliola e Sauro corrono in Piemonte e trovano il padre paralazzito a causa di una grave emoraggia cerebrale. Per due mesi Gigliola rimane al capezzale del padre, poi lo trasferisce a Bologna in casa sua. Qui rimane un mese, poi si rende necessario il ricovero in una clinica, dove Nadu dopo una lunga agonia di tre mesi muore nel giugno del 1957. Il figlio Vico non può rientrare dalla Somalia perchè la moglie Sonia sta per partorire il loro primo figlio. Gigliola distrutta, dopo il funerale del padre, invia al fratello Vico una lunga, disperata, struggente e tristissima lettera. 


dal Capitolo 25


Gigliola passò l’estate a Piobesi e si adoperò nel migliore dei modi per far passare al babbo giornate allegre e quindi distrarlo il più possibile da quel pensiero fisso che lui diceva di avere, cioè che lui non ce l’avrebbe fatta a vivere senza la sua cara ed adorata Verin. Malgrado questo e malgrado la tanta allegria che i tre bimbi di Gigliola creavano, semplici ed ingenui nella loro innocenza, capitò spesso che Nadu avesse momenti di sconforto e forte malinconia ed improvvisamente piangesse.


Gigliola, che in quel momento si sentì alzare la pressione e scoppiare la testa, riuscì comunque a mantenere il controllo e rispose: «Va bene! Mi sembra di aver capito che posso mettere tutti gli zeri che voglio!»
Prese dalle mani dello zio l’assegno e la penna, con cui lui aveva gia scritto il nome di Gigliola Trioglio come beneficiaria e la cifra di cento. Con molta calma aggiunse parecchi zeri e poi con altrettanta calma sfilò una sigaretta dal pacchetto che era sulla scrivania, accese un fiammifero e si accese la sigaretta, poi, invece di soffiare sul fiammifero e posarlo nel posacenere, avvicinò un angolo dell’assegno milionario alla fiamma e gli diede fuoco.
Lo poggiò acceso nel posacenere, si alzò, si girò ed uscì dall’ufficio, sbattendo forte la porta e senza salutare zio Tonio.


Gigliola, che non aveva più lacrime da versare, quasi si sentì distaccata da queste conseguenze materiali del mancato pagamento del debito, ché i soldi non c’erano e nessuno l’aveva aiutata. Si lasciò portare via tutto e quasi rimase indifferente quando vide la casa mezza vuota e le stoviglie ed i tegami e pure i vestiti poggiati sul pavimento.
Ormai l’unica cosa che importava era riuscire a mettere in un piatto qualcosa da mangiare per i suoi tre bambini.


Gigliola fece un urlo disperato e scoppiò a piangere, al punto che i suoi tre bambini si spaventarono. Poi chiamò al telefono Sauro, che era andato a trovare la mamma in centro a Bologna, ed angosciata gli disse di correre a casa immediatamente.
La mattina seguente Gigliola e Sauro portarono i bimbi dalle sorelle di Sauro e partirono per il Piemonte in macchina, una vecchia e sgangherata giardinetta Belvedere, guidata da un cugino di Sauro che aveva un autonoleggio.
Trovarono papà Nadu meno peggio di quello che loro avevano immaginato, tuttavia tutta la parte sinistra, braccio, gamba e viso, erano paralizzati.


Ma le visite domiciliari del medico, così numerose, ed ora la degenza e l’assistenza medica in una casa di cura, prima o poi comunque si sarebbe dovuto pagarle.
Quel conto accrebbe notevolmente, perché la lenta agonia di Nadu si protrasse per oltre tre mesi.
Fu straziante per Gigliola dover nuovamente passare quei mesi al capezzale di un genitore moribondo. La buona tempra del caro babbo prolungò inutilmente i tempi, riducendo quella persona in coma ad una penosa larva umana.


Non solo a Gigliola erano mancati entrambi i genitori in poco più di un anno, ma era pure tutto finito in quella grande e bella cascina di Piobesi, in quelle così fertili e così belle terre di Langa, in quella meravigliosa famiglia che era stata la sua.
Con papà Nadu se ne era andato per sempre anche un pezzo importante della vita di Gigliola. Ora tutto sarebbe stato soltanto un ricordo… un triste e malinconico ricordo!


".... Sono stanca, Vico, e mi trovo in condizioni di vera necessità finanziaria. Sono sette mesi che Sauro non guadagna un soldo, siamo assillati da gente che ne deve avere e che è spietata, siamo senza possibilità di mangiare… ed io non ho colpa di tutto questo! Ho una dignità ed il più gran tormento per me è l’umiliazione, ma tu sei mio fratello ed a te chiedo senza pudore di non guardare ad altri… guarda a me! Ti supplico! Mandami qualche soldo… e scrivimi! Tua cara, adorata e disperata sorella Gigliola"

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