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MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 26 - Gigliola e Vico: uno contro l'altro 
  


Dopo i drammatici avvenimenti narrati nel precedente capitolo 25, questo capitolo affronta la difficile e penosa situazione che si viene a creare tra Gigliola e suo fratello Vico.
Vico in Somalia si lascia convincere dallo zio Tonio, che a causa della sorella e del cognato Sauro, lui ha perso tutto quello che avrebbe dovuto ereditare dopo la morte dei genitori. Lo zio si fa dare da lui una procura e gli garantisce che in Italia riuscirà a fargli avere quanto gli spettava.
In Piemonte zio Tonio incontra Gigliola e le ordina di abbandonare la cascina, in quanto proprietà del fratello. Gigliola reagisce e si rifiuta, ma quando lui le propone di saldare tutti i debiti del marito in cambio della rinuncia a qualsiasi pretesa sulle proprietà lasciate dai suoi genitori, lei accetta e si trova costretta ad abbandonare la casa e la terra che era stata di suo padre. In realtà zio Tonio acquista lui la cascina e le terre e liquida il nipote Vico con una cifra bassissima, poi rivende a terzi il tutto e ne fa lui un affare.
Il nipote Vico in Somalia, di fatto, si ritrova ad ereditare ben poco e dà la colpa di questo alla sorella Gigliola. Tra loro i rapporti si fanno tesi e Gigliola ne soffre immensamente. 


dal Capitolo 26


«Vico, quando tu partisti da Piobesi sette anni fa per venire quaggiù in Somalia, lasciasti la casa dei tuoi genitori, che stavano bene. Tuo padre Nadu era un ottimo agricoltore e possedeva parecchia terra, che rendeva molto… ora invece, guarda in che condizione ti ritrovi! Non solo devi sopportare la perdita prematura e così ravvicinata di tua mamma e di tuo padre, ma pure devi subire, per colpa di tua sorella e di tuo cognato, il danno di perdere tutti i capitali che i tuoi genitori avrebbero dovuto lasciarti… la cascina e la terra ti spettavano, in quanto unico figlio maschio, ma ora è tutto ipotecato dalla banca, e questo grazie a Gigliola, che per pagare i debiti di suo marito, si è fatta dare tutto quello che tuo papà Nadu poteva dargli… è inaccettabile ed assolutamente ingiusto per te».


Sì, papà Nadu aveva concesso dei prestiti alla figlia Gigliola, per sanare alcuni debiti del genero Sauro, ma su un quaderno lui ogni volta aveva segnato la cifra, più gli eventuali interessi, che faceva controfirmare a Gigliola.
Quel quaderno Gigliola lo aveva preso dal cassetto di papà, dopo il suo funerale, e lo aveva portato a Bologna per conservarlo e poi consegnarlo a Vico, non appena fosse rientrato in Italia. Quelle cifre, anticipate dal padre, Gigliola voleva assolutamente scontarle, quando con Vico si fosse fatta la divisione dei beni dei genitori.


«No, caro zio! Questa volta sono io che ti ordino di uscire immediatamente da questa casa, semplicemente perché questa è casa mia e di mio fratello Vico… me ne infischio delle tue procure e se vuoi chiama i carabinieri e vedrai che neppure loro mi faranno uscire da qui! Per entrare in questa casa, la casa dei miei genitori, tu, chiunque altro e perfino i carabinieri dovrete passare sul mio cadavere… ed adesso fuori! Ladro! Disgraziato e farabutto che non sei altro!»
Tonio si alzò, salì in fretta sulla sua Giulietta e con una sgommata se ne andò, gridando a Gigliola che sarebbe ritornato dopo una settimana con il suo avvocato e con le autorità.
Gigliola serrò la porta con la spranga, salì in camera e si gettò sul letto matrimoniale che era stato di mamma e pianse ininterrottamente per un’ora.


A Gigliola vennero gli occhi lucidi, malgrado si sforzasse di non farlo vedere allo zio Tonio. Da un lato il solo pensiero di togliere finalmente quel grosso macigno, che da anni la stava schiacciando, le diede un senso di sollievo, persino di gioia… d’altro lato la sola idea di cedere alla proposta dello zio la fece sentire priva di dignità e di coraggio, lei che di coraggio ne aveva sempre avuto tanto e che considerava la dignità una virtù, che l’aveva sempre fatta camminare a testa alta di fronte a chiunque ed in ogni situazione.
Gigliola ebbe la sensazione netta che quello era un ricatto ed il timore che dietro ci fosse un chiaro interesse dello zio, che lei non riusciva ad interpretare.


Il prezzo che Gigliola aveva dovuto pagare, per risolvere in maniera definitiva i guai del marito Sauro, le sembrò comunque troppo alto ed assolutamente ingiusto: perdere la casa e le terre dei suoi genitori, rinunciare alla futura eredità di nonna Vittorina e soprattutto subire la sfiducia, l’indifferenza ed un negativo giudizio da parte del caro ed adorato fratello Vico.




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Capitolo 27 - Il Matrimonio di Elisa
  


Elisa Piavotto, la più giovane della famiglia, da oltre 25 anni é fidanzata con Gianni Bulléra, medico e primario ospedaliero.  Più volte, dopo gli anni Cinquanta, lui le aveva prospettato l’opportunità di sposarsi, per non rendere ridicolo agli occhi degli altri, soprattutto quelli della Torino bene, il loro eterno fidanzamento. Ma lei aveva sempre rimandato, solo perché da lui non aveva ottenuto la certezza di una solidità economica.
Nel 1961, in occasione del quarantacinquesimo compleanno di Elisa, il fratello Tonio offre un pranzo a lei, alla sorella Lucia e a Gianni Bulléra.
A tavola egli prospetta a Gianni di offrirsi come prestanome ad acquistare un lussuoso appartamento a Torino con i soldi che sono sul conto della anziana madre Vittorina. In cambio egli si deve impegnare a sposare Elisa ed andare a vivere nella casa acquistata.
Viene stipulata una scrittura privata, che Elisa nasconde nella cassetta di sicurezza che detiene al Credito Italiano di Torino.
Gianni acquista l'alloggio ed Elisa si occupa della ristrutturazione e dell'arredamento. Dopo un anno quella casa diventa un prestigioso e lussuoso appartamento di oltre quattrocento metri quadrati, completamente arredato con mobili di antiquariato.
Nell'agosto del 1962 Elisa e Gianni si sposano. Una cerimonia suntuosa e ospiti scelti tra l'alta aristocrazia torinese. Al Matrimonio è presente anche la nipote Gigliola, giunta da Bologna, malgrado non fosse stata invitata. Elisa, con spudorata falsità, comunica a Gigliola, accompagnata dalla figlia di dieci anni, che la loro presenza è il più bel regalo che lei avesse potuto ricevere in quel giorno.  


dal Capitolo 27


Tonio escogitò un sistema per fare sparire tutto quanto e poter poi riuscire a dimostrare ai nipoti ed alla sorella Nina che mamma in realtà era nullatenente.
Ma quello che preoccupava di più Tonio era che, su quel conto intestato a mamma, lui aveva fatto versare l’anno prima una somma consistente di denaro, che altro non era che il frutto di un losco affare concordato a Roma con un importante politico. Bisognava soprattutto far sparire questo denaro prima che accadesse che mamma morisse.


Elisa aggiunse: «Certo! Mamma potrebbe vivere cent’anni, ma ci trovi in pieno accordo sul fatto che dobbiamo sistemare le cose quanto prima… per la casa e le proprietà in Somalia è già tutto chiarito da alcuni anni, da quando io e Lucia riuscimmo a convincerla a consegnare al notaio un testamento a nostro favore… rimane solo da risolvere il conto alla banca»
«Per questo penso di avere io la soluzione – rispose Tonio – e la cosa coinvolge anche Gianni… è per questo che ne parlo ora alla sua presenza».
Gianni Bulléra fece uno sguardo stupito e certo non immaginò quale fosse il progetto che Tonio aveva in mente di attuare.


Tonio riprese a parlare, questa volta rivolgendosi in particolare anche a Gianni: «Alla Crocetta, che è il quartiere più residenziale di Torino, a poche decine di metri da dove abito io, sul corso Duca degli Abruzzi, è in vendita un favoloso alloggio di quasi quattrocento metri quadrati… è al primo piano di un prestigiosa palazzina ottocentesca e ha ben tredici grandi finestre con bifora che danno sul corso… chi lo vende chiede 80 milioni di lire, ma poi andrebbe completamente ristrutturato ed arredato, e così alla fine, se lo si acquistasse, si verrebbero a spendere circa 120 -130 milioni».


Poco dopo riprese: «Ho pensato di acquistarlo, adoperando quei soldi che sono sul conto di mamma, ma… in realtà ad acquistarlo sarà Gianni, nel senso che andrà lui dal notaio a rogitare e figurerà di essere lui a pagare, usando i nostri soldi… ovviamente faremo prima una scrittura privata tra noi, dove risulterà che Gianni Bulléra farà solo da prestanome, tutto questo però ad una sola condizione: subito dopo Gianni dovrà sposare Elisa ed andare con lei a vivere in quella casa».
Elisa e Lucia, e più che mai Gianni Bulléra, rimasero stupiti ed increduli nel sentire quello che Tonio aveva programmato di fare.


Fu un Matrimonio quasi principesco, quello che lei aveva sempre sognato! Si sposarono alla Consolata ed a celebrarlo fu il Vescovo di Torino. Tantissimi ospiti importanti, tante toilette elegantissime tra le signore, tanto lusso!
La sposa, quasi cinquantenne, ricordava Grace di Monaco, un abito leggero di raso celeste chiaro e sopra, dello stesso tessuto, un soprabito leggerissimo, sul capo un cappello a falda larga ed ondulata, fatto tingere dello stesso colore dell’abito.
Dopo la cerimonia religiosa ci fu un ricevimento all’Hotel Turin in via Sacchi, servito con eccezionale eleganza.


Nella toilette di un bar, alla stazione di Porta Nuova, Gigliola si cambiò e cambiò la bambina, che era stanchissima. Depositò la valigia al deposito bagagli, prese un taxi e si fece accompagnare alla chiesa. Arrivò appena in tempo, pochi minuti prima che iniziasse la Messa.
Quando Elisa la vide le disse: «Gigliola! Ma come fai ad essere qui? Da te bisogna sempre aspettarsi di tutto, anche l’impossibile!»
Baciò la bambina, che era sua figlioccia di battesimo e che non vedeva da tempo, ed aggiunse: «La vostra presenza qui è sicuramente il più bel regalo che oggi io potessi ricevere».



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Capitolo 28 - Jackie Kennedy
  


Siamo nel 1963. Elisa Piavotto, è sposata da un anno e vive a Torino nella sua meravigliosa e lussuosa casa alla Crocetta. Da quanto si è trasferita a Torino ha iniziato a rifrequentare le varie contesse e nobildonne torinesi, che da giovane aveva conosciuto andando a Cervinia con il fratello Amelio. Una di queste è amica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni Agnelli e invita ad una festa mondana Elisa per potergliela presentare.
Il fratello Tonio già da anni è in rapporti amichevoli con Gianni ed Umberto Agnelli ed è lui alla festa a presentare alla sorella l'avvocato Gianni e sua moglie Marella. 
Marella Agnelli accetta un invito a casa di Elisa e nell'occasione si congratula con lei per la meravigliosa ed elegantissima casa. Mentre bevono un tè racconta ad Elisa di conoscere bene Jaqueline Kennedy, la moglie del Presidente Americano e di avere promesso alla First Lady che in occasione di un suo prossimo soggiorno in Italia le avrebbe fatto vedere alcune belle case arredate all'italiana. Questo perchè Jackie le aveva espresso il desiderio di trasformare l'arredamento alla Casa Bianca e di voler ispirarsi allo stile italiano, che secondo lei è considerato il più bello del mondo. 
Marella confida ad Elisa che secondo lei Jaqueline intendeva proprio una casa come la sua e le chiede se è disponibile ad invitare per un tè la moglie del Presidente, in occasione di un ormai prossimo breve soggiorno in Italia e a Torino, ospite in casa Agnelli. Elisa accetta e si prepara per l'avvenimento che dovrebbe avvenire dopo poco più di un mese, verso la fine di novembre 1963.
Ad Elisa non resta che attendere una telefonata di Marella Agnelli che le confermi la visita privata di Jackie a casa sua in occasione di un tè.
Ma pochi giorni dopo arriva la terribile notizia dell'assassinio di John Kennedy a Dallas ed Elisa ne resta sconvolta. Peccato, perchè lei era convinta che Jackie sarebbe certamente diventata una speciale e straordinaria sua amica!   


dal Capitolo 28


Dopo il Matrimonio del 1962, Elisa iniziò la sua nuova vita da signora a Torino. Per tutti lei era la signora Bulléra, moglie del primario alle Molinette. Chi non la conosceva immaginava che lei avesse sposato il dottore, per poter vivere in maniera agiata, visto che chiunque poteva pensare che lui fosse ricco e lei, come tante mogli di professionisti affermati, lo avesse sposato per questo.
La realtà era invece esattamente l’opposta, era il dottore che aveva sposato una ricca possidente terriera per apparire quello che lui non era.


«Cara Elisa, se verrai la prossima settimana alla festa a cui ti ho invitato, ti presenterò Donna Marella, è una persona piacevolissima ed intelligentissima!» le disse un giorno la vecchia amica di Cervinia ritrovata.
«Verrò volentieri – le rispose Elisa – ma Donna Marella già la conobbi a Cervinia, ricordi?»
Certamente però Marella Agnelli non si sarebbe ricordata di lei, perché negli anni Trenta a Cervinia la giovane nobildonna le fu solo semplicemente presentata.


Poco distanti da loro proprio in quel momento c’erano Gianni Agnelli e sua moglie Marella. Gianni vide Tonio e gli disse: «Caro Piavotto! Vedo che non sei in Africa, allora domenica ti aspetto a vedere la Juve!»
Tonio si avvicinò a lui e rispose: «Certamente, caro avvocato! Non mancherò… ma ora vorrei presentarti mia sorella Elisa, ovvero la signora Bulléra, moglie del cardiologo Giovanni Bulléra».
Gianni Agnelli a sua volta presentò ad Elisa ed a Tonio sua moglie Marella Caracciolo.
«Molto lieta di conoscerla, signora Bulléra! – disse Marella – So che abbiamo un’amica in comune, mi ha parlato di Lei come di una donna di gran classe e mi detto che non hai mai visto una casa bella come la sua!»


Marella Agnelli aggiunse: «Signora Elisa, se verso la fine del mese di novembre o al massimo ai primi di dicembre, Jackie sarà ospite qui da me qualche giorno, lei sarebbe disponibile ad offrire un tè, come ha fatto oggi per me, alla First Lady d’America? Naturalmente in forma rigorosamente privata e molto discreta!»
«Certamente, donna Marella… sarebbe un grandissimo onore per me ed una straordinaria ed irripetibile esperienza, che non potrei mai dimenticare!»


Tutte queste domande e questi problemi resero insonni le notti di Elisa, che comunque con la sua intraprendenza riuscì a trovare una soluzione ad ogni problema.
A metà novembre tutto era già pianificato nei minimi particolari, non restava altro che attendere il via da una telefonata di Marella Agnelli, che da quel momento in poi avrebbe potuto arrivare ogni giorno.
Invece pochi giorni dopo, il 22 di novembre del 1963, il mondo intero fu sconvolto dalla notizia dell’uccisione di John Fitzgerald Kennedy, il Presidente degli Stati Uniti d’America!
Ed il mondo intero rimase colpito e nessuno dimenticò mai quel tailleur Chanel in tessuto rosa bordato di nero, tutto macchiato di sangue, che Jacqueline quel giorno indossava.
Anche Elisa rimase sconvolta per quanto era accaduto a Jackie.
Lei già si immaginava, convinta, che sarebbe certamente diventata una speciale e straordinaria sua amica!


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Capitolo 29 - La morte di mamma Vittorina
  


Durante le vacanze natalizie del 1964, Gigliola e Sauro con i tre figli, vanno in Piemonte a trovare la nonna Vittorina, già ultranovantenne, che è in precarie condizioni di salute. Il viaggio è anche l'occasione per ritornare in quelle terre di Langa, dopo sette anni dalla morte di nonno Nadu.
Gigliola al capezzale della nonna riceve da lei un monito, che la lascia assai sorpresa: "Non ti fidare di loro" rivolto alle figlie Elisa e Lucia e al figlio maschio Tonio.
A marzo del 1965 nonna Vittorina muore e Gigliola è presente al suo funerale. Le zie Elisa e Lucia comunicano che c'è un testamento che lascia loro due come uniche eredi della anziana madre.
Gigliola comunica questo fatto al cugino notaio che intravede la possibilità di poter impugnare questo testamento. 
Gigliola vorrebbe lasciar perdere tutto, perchè stanca di liti e questioni legali con gli zii Piavotto, ma il marito Sauro la convince che se ci fosse qualcosa da ereditare, sarebbe giusto far valere le proprie ragioni.   


dal Capitolo 29


Elisa spiegò a Gigliola che per la festa dell’Immacolata, ai primi di dicembre, la nonna aveva voluto andare ad ogni costo alla funzione in chiesa, sebbene fosse una giornata freddissima, e così si era presa un brutto raffreddore.
Naturalmente a novanta e più anni anche un semplice raffreddore più essere insidioso! Ora a Natale era diventato una broncopolmonite ed il medico aveva avvisato Elisa che per l’anziana madre il rischio di un aggravamento era altissimo.
«Elisa, ci terrei moltissimo a rivedere la cara nonna, prima che capiti qualcosa di irreparabile... parlerò con mio marito e vedremo se sarà possibile fare una scappata a Racconigi durante queste vacanze di Natale»


Sarebbero andati a Racconigi a salutare la nonna Vittorina malata, ma quella poteva essere anche l’occasione per ritornare tutti assieme in quelle terre ed in quei luoghi, quasi dimenticati, soprattutto dai ragazzi.
Era la prima volta che tutta la famiglia Messieri ritornava a Piobesi, dopo il triste Natale del 1956, quando nonno era all’ospedale e nonna Verin non c’era più.
Passarono in macchina vicino alla cascina. A Gigliola vennero le lacrime e Roberto disse, quasi eccitato ed emozionato: «Mamma, mamma! Ricordo bene quando eravamo qui! Ecco, in quel fosso lui, Pino, una volta cadde e si tagliò un piede e sanguinò tantissimo!»
Gigliola non rammentò, perché quando accadde quell’incidente al piccolo Pino, nell’estate del 1955, lei alla cascina non c’era. 
C’erano invece zia Sonia, che ancora non era sposata con Vico, e nonna Verin.


Quando Elisa arrivò, insieme al marito Gianni, sembrò che fosse entrata in casa Sophia Loren, nel senso che si presentò esattamente come l’attrice veniva spesso mostrata sui rotocalchi a quei tempi, quando per esempio da vera diva scendeva la scaletta di un aereo.
Sì, perché zia Elisa sfoggiava una stupenda pelliccia di ghepardo, e pure di ghepardo aveva sul capo un grande cappello a falda larga.
Indubbiamente era elegantissima, ma forse, vista l’occasione, aveva davvero un po’ esagerato!


«Oh, Gigliola! Non dovevi venire, tu che stai così lontano… però sono molto contenta di vederti – disse nonna Vittorina alla nipote Gigliola, con un filo di voce – com’era diversa la tua povera mamma da quelle due streghe che mi girano qui intorno da tanti anni! Tu le somigli e per questo tu mi piaci… non fidarti di loro!»
Gigliola meditò molto su quel “non fidarti di loro” che le aveva detto la nonna… le sue ultime parole, visto che sicuramente sarebbe mancata di lì a poco e lei, Gigliola, non l’avrebbe più rivista. 
Significava che nonna, astuta e lucida fino all’ultimo, sapeva bene quanti sotterfugi e quante ingiustizie loro, le figlie, e quell’altro, che ora era in Somalia, avevano tramato in tutti quegli anni!
Per Gigliola fu la conferma di quello che già sapeva benissimo e che aveva sempre pensato, da quando durante la guerra era morto zio Amelio.


La mattina seguente, prima di andare in stazione a prendere il treno per rientrare a Bologna, volle chiamare il cugino notaio per informarlo di quanto era accaduto.
«La situazione mi sembra meno chiara di quello che appare, ovvero che loro, tue zie, vogliono far apparire – disse il notaio Rino Porra a Gigliola – occorre che io studi bene la cosa, ma in fretta, perché mi sembra che si possa impugnare questo testamento, che loro dicono di avere, ma che non ti hanno fatto vedere… ti chiamerò quanto prima ed occorrerà che ci incontriamo qui ad Alba».


Gigliola sinceramente era stanca di avere sempre a che fare con questioni legali ed in cuor suo avrebbe preferito lasciar perdere ogni cosa, infischiarsene di tutto e mandare veramente, ora che la nonna non c’era più, tutti loro direttamente a quel paese.
Ne parlò con Sauro al suo arrivo a Bologna e lui le disse che se ci fosse stato qualcosa da ereditare sarebbe stato giusto procedere, e cosi lei si convinse e cambiò idea.
Non tanto per quei maledetti soldi, che fino ad allora erano stati la rovina di quasi tutta la sua vita, ma ancora una volta per una questione di dignità e di orgoglio.
Dignità ed orgoglio che, se lei ancora avesse lasciato perdere, sarebbero stati nuovamente calpestati da quelle persone!



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Capitolo 30 -  La "Dolce Vita" di Vera
  


Il Capitolo 30, prendendo spunto dal film "La dolce vita" di Federico Fellini, racconta di quanto Vera, la giovane figlia di Tonio, assomigli ad uno qualsiasi dei tanti personaggi felliniani di quel film. Siamo agli inizi degli anni '60 e Vera, poco più che ventenne, fa esattamente le stesse identiche cose. Ragazza piena di soldi, bella, esuberante, si sposa quasi per gioco, frequenta locali notturni, beve, spende moltissimo denaro, torna a casa la mattina ubriaca. Il suo matrimonio dura poco più di un anno e lei passa le notti con gli amici della Torino bene.
Dopo aver incontrato sua madre in un night-club, dove fa la padrona-cassiera, essendo l'amante del titolare, Vera rimane sconvolta.  
Quando la madre pochi giorno dopo la chiama al telefono per supplicarla di non bere, Vera non risponde e chiude la telefonata e poi tenta il suicidio con una alta dose di barbiturici. La trova agonizzante suo padre Tonio che subito chiama un'autoambulanza e la fa portare in ospedale. Vera si salva e Tonio accusa un leggero malessere cardiaco.


dal Capitolo 30


Chi non ebbe origini povere invece fu Vera, che fin da bambina riuscì sempre a farsi pagare da papà Tonio qualsiasi cosa lei desiderasse.
Poi dopo la separazione dei suoi genitori lo stesso Tonio incominciò a viziarla più del necessario, forse per farsi perdonare la fine del suo Matrimonio con mamma.
Vera era veramente paragonabile ad uno qualsiasi dei tanti personaggi, specialmente femminili, che si potevano vedere nel film di Fellini! Esattamente come loro, anche Vera aveva poco più di vent’anni e faceva le stesse identiche cose.


Ma che cosa doveva fare Vera con tutti quei soldi? Niente, se non semplicemente vivere esattamente come quei personaggi de La Dolce Vita felliniana. Feste quasi tutte le sere, vestiti sempre nuovi ed alla moda, tanto alcol, tanto fumo e all’occasione, perché no? anche sesso, specialmente quando alle prime ore dell’alba si ritrovava spesso a girovagare in macchina con gli amici per le strade di Torino, e se ci fosse stata anche lì una Fontana di Trevi lei ci si sarebbe buttata dentro vestita, come Anita Ekberg!



Anche gli amici di Vera a volte andavano al night di Mariella, ma ignoravano che quella signora fosse proprio la mamma di Vera.
Una notte accompagnarono anche lei e quando appunto si ritrovò dinanzi alla cassa sua madre, Vera, anche se aveva bevuto, rimase perplessa e sconcertata.
Non lo immaginava e poi non vedeva sua madre da tanto tempo ed il vederla così, sessantenne tutta scollata, piena di gioielli ed anche un po’ alticcia le fece un senso di orrore… pretese che gli amici lasciassero subito quel locale e disse, senza dare spiegazioni, che mai più sarebbero ritornati in quel posto.
Andarono tutti in un altro locale notturno e Vera quella notte continuò a bere davvero senza freno.
La mattina dovettero poi recapitarla, come un pacco postale, al marito nell’appartamento alla torre Littoria.
Lui però il giorno dopo fece le valige e deluso se ne andò per sempre. Il loro Matrimonio non era durato che poco più di un anno.


Tonio, che era in ufficio in piazza San Carlo, provò a chiamare immediatamente Vera, ma dall’altra parte del telefono nessuno rispose, allora in pochi minuti raggiunse a piedi piazza Castello ed aprì l’appartamento con la chiave di scorta, che lui teneva assieme alle sue.
Trovò Vera sdraiata sul letto in uno stato di piena incoscienza che rantolava, vide sul comodino un tubetto di barbiturici aperto e vuoto, ed allora immediatamente capì che sua figlia aveva messo in atto un gesto, certo sì, da incosciente ma sicuramente drammatico.
Chiamò immediatamente un’autoambulanza dicendo di fare il più presto possibile, che per lui sua figlia stava morendo.
Vera fu portata alle Molinette e, con una lavanda gastrica e due giorni di ricovero in assoluto riposo, si riprese.

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