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MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 36 - La triste fine di Tonio Piavotto
  


Il capitolo 36 è probabilmente il più romantico, nel senso Letterario del termine, dell'intero romanzo.
L'autore, con molta delicatezza e finezza introspettiva, cerca di trovare nel personaggio di Tonio Piavotto, sempre così arrogante e sicuro di sè, un barlume di umanità, di sensibilità, di religiosità, di insicurezza e paura. In fondo l'autore sembra non accettare il fatto che Tonio, malgrado tutto,  non avesse avuto anche lui appunto un po' di umanità.
Si racconta del delicato e difficile momento in cui la figlia Manuela, nel 1977, deve comunicare a Tonio la morte dell'altra figlia Vera. Tonio ha una forte crisi esistenziale e si rende conto di essere al declino, a causa anche dei gravi disturbi cardiaci di cui soffre.
Rientra in Italia e i medici lo mettono al corrente della gravità della sua malattia, ma Tonio vuole ritornare ancora una volta in Somalia, per chiudere l'attività delle sue aziende. Dopo due mesi, a giugno del 1978, lui è colpito da un nuovo infarto e muore di notte in quella sperduta casa nella Savana, solo come un "cane".
Dopo un mese in Italia a Racconigi si riesce a svolgere il suo funerale e la nipote Gigliola, malgrado i tanti torti e le offese subite da lui, senza perdonarlo, è presente, asserendo che comunque lui era fratello di mamma e che se lei fosse stata ancora in vita certamente si sarebbe trovata lì quel giorno assieme alle sorelle Lucia, Nina ed Elisa. 





dal Capitolo 36


Manuela sentì stringersi il cuore ed in quel momento dai suoi occhi spuntarono delle lacrime.
«Manuela, perché piangi? Lo sai che ho bisogno di persone allegre vicino a me, che mi tengano alto il morale!»
«Sì, lo so, papà… piango perché Vera ha detto anche a me che starà via per moltissimo tempo, e che forse non tornerà mai più!»
«Ma tu sai dove è andata?» chiese Tonio a Manuela.
«Si lo so… è andata in Paradiso…»
In questo modo così tenero e poetico, quasi infantile, lo stesso modo in cui si direbbe ad un bambino che la sua mamma è morta, Manuela comunicò al padre la notizia della morte di Vera.


Tonio si sentì davvero un uomo finito, lui che da oltre mezzo secolo viveva lì in Africa, e che in quei cinquant’anni aveva tirato fuori tanta grinta e tanta energia, ora stava rendendosi conto che quella grinta era svanita e che di quella energia non ce n’era più a disposizione.


Ora tutto stava per concludersi, le luci su quel palcoscenico stavano per spegnersi per sempre, dopo mezzo secolo di successi e di gloria, e loro gli attori dovevano ritirarsi, farsi da parte, ritornare a casa in Italia e… forse morire!
Questi pensieri tristi e queste considerazioni pessimistiche pervasero Tonio in quell’anno, specialmente dopo la morte di sua figlia Vera.
Erano dettati certo dal dolore di un padre che aveva visto morire sua figlia, dalla consapevolezza di un uomo che sentiva che la sua salute stava venendo a meno, ma anche dalla reale situazione che ormai si stava concretizzando in Somalia.


Mai una volta che in tutti quegli anni lui avesse fatto una specie di esame di coscienza, per vedere se poi, come lui si era comportato, fosse stato giusto o ingiusto, corretto o sbagliato. Mai che avesse provato un rimorso o un senso di colpa. Però, ora che Vera era morta e che la paura di un giudizio finale si stava facendo sentire, nella sua mente questi pensieri iniziarono a tormentarlo.
Forse Vera avrebbe potuto esserci ancora, se lui non le avesse sempre concesso tutto; se invece di darle sempre quelle somme spropositate di denaro, l’avesse fatta lavorare, magari con lui in ufficio in Italia o lì in azienda in Somalia.
Si sentì molto responsabile della sua morte, e questo fatto si spera possa essere servito, davanti al buon Dio, a fargli perdonare qualche altro suo peccato!


Ogni cosa ricordava la piccola e bellissima Vera, che con il suo arrivo nel ’41, riportò un po’ di serenità tra lui e Mariella, dopo un periodo burrascoso.
Ogni cosa ricordava gli anni difficili durante la guerra, quando la paura fu tanta e da casa, a Racconigi, le notizie arrivavano col contagocce.
Infine su di una parete c’era ancora, ingiallita e sbiadita, quella foto di Ceti, che lui portò per Amelio, dopo aver promesso a mamma Vittorina che ogni giorno a venire e per sempre lui e Amelio gli avrebbero rivolto il loro affettuoso saluto, certi che lui dall’Alto li avrebbe aiutati.


Vico e Sonia salirono immediatamente sulla loro macchina e velocemente si diressero a casa Pittarello, mentre il boy li avrebbe raggiunti ritornando con la bicicletta.
Entrarono in casa e si diressero immediatamente in camera, ma trovarono zio Tonio che non respirava più e si resero pertanto conto che lui era già morto.
Lui, il signor Antonio Piavotto (il ricco signor Antonio Piavotto) era morto in quella vecchia casa sperduta della Somalia, di notte e solo come un cane.


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Capitolo 37 - Mauela Piavotto
  


L'autore inizia il capitolo 37 con una sua personale considerazione: se è vero che una persona nella sua vita ha compiuto tanti sotterfugi, inganni e malvagità, è vero anche che in qualche modo egli ha dovuto pagarne un prezzo. Nel caso di Tonio Piavotto lui stesso ha pagato, ma pure i suoi famigliari. 
In questo capitolo si racconta di Manuela, sua figlia. Dopo avere perso la sorella Vera, anno dopo anno perde il padre Tonio e poi la mamma Mariella, ed ancora la zia Isabella, sorella di Mariella. Manuela sposa un impiegato di banca, e con lui imposta una società finanziaria per gestire i grandi capitali ereditati dal padre. Alla morte di zia Isabella, il Tribunale di Torino dà in adozione a Manuela e Stefano, suo marito, la figlia dodicenne di Isabella, rimasta orfana di entrambi i genitori.
Quando la ragazza compie diciotto anni fugge con il padre adottivo Stefano, che abbandona la moglie.
Lui le sottrae buona parte dei capitali del padre.
Zia Elisa, che si era fidata ciecamente di Stefano, perchè esperto di gestioni finanziarie e perchè molto premuroso e gentile nei suoi confronti, teme di essersi troppo compromessa con lui. Stefano era stato informato da lei del suo conto segreto in Svizzera, che conteneva circa tre miliardi di Lire, che appartenevano al fratello Tonio e che quindi di fatto erano stati sottratti alla legittima erede Manuela. 





dal Capitolo 37


Tuttavia quando ci accade di vedere, e nel mio caso di raccontare, le malvagità e le cattiverie, i ricatti e le offese, che una persona ha compiuto nell’arco della sua vita, viene spontaneo poi, se a quella persona succede qualcosa di brutto, esclamare che quello è stato il prezzo che ha dovuto pagare, per tutto quel male che ha fatto.
Orbene, come il lettore ha potuto capire, Tonio Piavotto di cose malvagie e scorrette ne aveva compiute tante, ma il prezzo, se così si può dire, che lui e tutti componenti della sua famiglia dovettero pagare fu veramente alto.


Zia Elisa si innamorò di quel nuovo nipote acquisito, perché lui si dimostrò estremamente gentile ed affettuoso con lei, al contrario di Manuela, che continuava quasi ad ignorarla, malgrado tutto quello che zia aveva fatto quando era bambina.
Stefano e Manuela andarono a vivere nella casa di lei, che poi era la casa di Tonio, e che era distante da quella di zia Elisa non più di cento metri.
Questa cosa fece sì che Stefano andasse spesso, il più delle volte da solo, a trovare gli zii Elisa e Gianni. Stefano si offrì ad essere disponibile per ogni cosa, non avevano che da chiederglielo e lui avrebbe trovato il tempo ed il modo per essere a loro di aiuto.


Naturalmente Elisa si guardò bene dal dire a Stefano che quel denaro avrebbe dovuto essere di suo suocero Tonio, e quindi ora di sua moglie Manuela.
Elisa però si rese conto che a quel punto si era un po’ troppo sbilanciata con Stefano, nel senso che lo aveva messo al corrente del conto in Svizzera, senza considerare che suo marito Gianni, e pure Manuela, non ne conoscevano l’esistenza.
Loro avrebbero assolutamente dovuto continuare a non saperlo. Allora come fare a spiegare a Stefano questo fatto, senza insospettirlo e senza fargli sapere tutta la verità?
Elisa dovette dunque inventare una mezza bugia, per potergli dire una mezza verità.


A fine del 1980, neppure ad un anno dal suo Matrimonio, dopo una malattia di pochissimi mesi, morì pure zia Isabella, la sorella più giovane di Mariella. Morì di cancro, esattamente come la sorella. Solo che Isabella, che si era sposata non più giovane, aveva una figlia ancora poco più che bambina, che ora si ritrovava orfana di entrambi i genitori, visto che tre anni prima il marito di Isabella, era pure lui morto a causa di un incidente stradale.
Quella bambina di dodici anni ora non aveva altri al mondo che i nonni paterni, anziani e malandati nella loro salute, e sua cugina Manuela.
Fu così che il Tribunale dei minori di Torino propose a Manuela ed al marito Stefano di prendere in adozione quella bambina, rimasta sola al mondo.


Ma il giorno che Margherita compì diciott’anni, il giorno che diventò maggiorenne, esattamente sei anni dopo che era diventata la figlia di Manuela e di Stefano, accadde quello che nessuno mai avrebbe immaginato potesse accadere.
Qualcosa che lasciò esterrefatti ed increduli, se non addirittura sconvolti e scandalizzati, tutti quanti, compreso Manuela e zia Elisa.
Quel giorno Stefano e Margherita fuggirono insieme!
Sembrò a tutti una fuga d’amore, anche se lui aveva vent’anni più di lei ed era il suo genitore adottivo. Non era suo padre naturale è vero! Tuttavia lui era pur sempre suo padre, a tutti gli effetti, e quello tra loro non poteva essere altro che un rapporto incestuoso!


Lui stava gestendo tutto il denaro che lei aveva, ma ben presto Manuela si accorse che le era quasi completamente sparito.
Non poté farci niente, perché lui aveva la firma congiunta e poteva quindi disporre a suo piacimento, senza il suo esplicito consenso. Così non poté neppure denunciarlo.
Lei pochi anni dopo ricevette la richiesta di divorzio e seppe poi che loro vivevano insieme a Como, non lontano dal confine con la Svizzera, non lontano dalla città di Lugano.
Anche zia Elisa, che tanto si era fidata di lui, rimase sconvolta e per fortuna che a lei non era riuscito a sottrarre niente, tuttavia un pensiero ed un dubbio le rimase… lui era purtroppo a conoscenza di troppe cose segrete che molto la riguardavano, fin troppo da vicino!


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Capitolo 38 - Gli anni Ottanta
  


Gli anni Ottanta sono caratterizzati dalla fine dell'avventura africana da parte dei componenti della famiglia Piavotto. In Somalia scoppia la guerra e tutti gli italiani che erano rimasti, compreso Vico Trioglio, nipote di Tonio Piavotto, debbono abbandonare le loro aziende, dopo tanti decenni, e fare rientro in Italia. 
A Torino Elisa Piavotto, continua a fare la "bella vita", ma le cose non sono più come dieci o venti anni prima. Lei rinnova la scrittura privata, con la quale il marito Gianni Bulléra, dichiara di avere fatto da prestanome nel 1961 per l'acquisto del lussuoso alloggio di Corso Duca degli Abruzzi.
Vico Trioglio nel 1982 rientra definitivamente in Italia. 
Nel 1984 Gigliola Trioglio, la vera protagonista del romanzo, rimane vedova dopo la morte del marito Sauro.
Negli anni Ottanta Nina Piavotto e il marito Giuanin decidono di chiudere la loro macelleria, dopo oltre cinquant'anni di attività, e pure loro in pochi anni se ne vanno.
Nel 1989 pure Lucia Piavotto, quasi novantenne, muore. Lei da alcuni anni si era trasferita a Torino in casa della sorella Elisa, pertanto la vecchia villa di Racconigi è chiusa e disabitata.
A fine anni Ottanta pertanto Elisa rimane l'unica della famiglia Piavotto ancora in vita. Oltre a lei i cinque nipoti, con i quali i rapporti sono molto scarsi, per non dire inesistenti. L'unica che Elisa sente più quasi come una sorella è Gigliola, ma i rapporti con lei si sono talmente raffreddati, per tutte quelle questioni che c’erano state in passato e con il comportamento sbagliato di Tonio, che diventa difficile riprenderli.





dal Capitolo 38


Elisa a Torino continuava a fare la sua bella vita, anche se tutto non era più come dieci o venti anni prima, e molto era cambiato.
Nel 1981 Elisa certo non dimenticò che c’era da rinnovare quel contratto di prestanome che il fratello Tonio aveva stipulato nel 1961 con l’allora suo fidanzato Gianni Bulléra, e che sarebbe scaduto essendo trascorsi vent’anni.
Andò alla Banca del Credito a ritirarlo dalla cassetta di sicurezza e lo portò al commercialista che ora seguiva i suoi interessi. Dovettero modificarlo in modo che non comparisse più il nome di Antonio Piavotto e neppure quello di sua sorella Lucia.


Elisa e Gianni in quell’occasione ebbero tra loro un forte litigio e lei gli rinfacciò di averlo per vent’anni mantenuto nel lusso ed averlo fatto vivere in quella reggia, che non sarebbe esistita senza i soldi della famiglia Piavotto, e poi neppure si sarebbero sposati, se lui non avesse acconsentito nel 1961 di accettare quel compromesso.
Ora non volerlo rinnovare da parte sua avrebbe dimostrato una grossa slealtà e la conseguenza per lui – questa fu una minaccia da parte di Elisa – sarebbe stata che lei lo avrebbe cacciato di casa.


Gianni disse ad Elisa che sua sorella sarebbe venuta a vivere lì con loro in quella grandissima casa, visto che anche l’anziana cognata Lucia, sorella di Elisa, ormai da qualche anno praticamente viveva con loro.
Elisa, che non aveva mai sopportato la sorella di suo marito, assolutamente gli rispose che mai avrebbe accettato.
Si ritrovarono a dover nuovamente litigare, ed alla fine Elisa accettò di provvedere lei al mantenimento dell’antipatica cognata, purché avesse continuato a vivere nella sua casa di corso Regina Margherita.
Pertanto, da quella volta ogni mese, per tutto il resto della sua vita, Elisa dovette firmare un assegno da consegnare alla “cara” sorella del “caro” marito! E poi dovette pur sopportare che lei ogni due o tre giorni venisse a trascorrere interi pomeriggi ad oziare in casa sua, e spesso poi auto invitarsi a pranzo o a cena con loro.


Dinnanzi alla piccola chiesetta ad attendere l’arrivo del feretro c’erano tutti i parenti di Sauro di Bologna, e la breve cerimonia si annunciò molto intima e molto riservata.
Quando Gigliola scese dall’auto, insieme a suo figlio Pino ed a sua figlia Anna Lisa con la sua bambina, rimase senza parole ed assai sorpresa ed emozionata, quando le venne incontro, per salutarla ed esprimerle il suo cordoglio, zia Elisa.
Lei era venuta appositamente giù da Torino e quella cosa Gigliola non se la sarebbe mai aspettata, ma, in quel momento di dolore per lei, le fece un immenso piacere e la apprezzò tantissimo.


Anche Gianni cominciò ad essere di peso ad Elisa, alla fine di quegli anni Ottanta, perché cominciarono a divenire evidenti i primi segni del morbo di Parkinson, da cui purtroppo Gianni era stato colpito.
Lui non lavorava più alle Molinette, da quando era andato in pensione, aveva un incarico di tipo amministrativo al Mauriziano, che lo occupava una mezza giornata, per cui passava molto più del suo tempo in casa, ed a volte la moglie Elisa gli diceva che stava diventando davvero noioso.



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Capitolo 39 - Riconciliazione tra Elisa e Gigliola
  


Elisa Piavotto, dopo la morte della sorella Lucia, si ritrova ad essere l'ultima sopravvissuta della sua famiglia. 
Ha terminato di ristrutturare a sue spese la villa di Pinerolo di proprietà del marito Gianni. La bella casa natale di Racconigi è vuota ed Elisa prospetta di metterla in vendita. 
Decide di tentare di riprendere i rapporti con la nipote Gigliola, pertanto la invita alcuni giorni a Pinerolo. Gigliola accetta ed è contenta di questo riavvicinamento, dopo tanti anni di incomprensioni e tensioni. Elisa propone a Gigliola di trasferirsi a vivere a Racconigi nella casa di famiglia, promettendole che la farà restaurare e che gliela lascierà in eredità. Gigliola è sorpresa di questa proposta e pure del fatto che la zia Elisa le consegna in regalo una somma di denaro, tuttavia decide di non accettare di trasferirsi a Racconigi, in quanto la sua vita e la sua famiglia ormai è radicata a Bologna.
Elisa pertanto vende la casa di Racconigi.
Nel 1994 il figlio di Gigliola, Pino, si reca a trovare la zia Elisa a Torino, in compagnia di due suoi giovani amici. In loro presenza, Elisa fa intendere a Pino che tutto ciò che si trova nel suo lussuoso alloggio di Torino un giorno sarà suo. Pino ne rimane sorpreso ed incredulo.  





dal Capitolo 39


La grande casa natale di Gianni Bulléra a Pinerolo, un vero e proprio palazzetto di campagna del Seicento, con annessa anche una piccola cappella affrescata, alla fine degli anni Ottanta era stata quasi completamente restaurata ed in parte ristrutturata, naturalmente tutto a spese di Elisa Piavotto, la quale in quegli anni dedicò molto del suo tempo (e pure del suo denaro!) a quell’impegnativo lavoro.

Tutti i fine settimana Elisa, con il marito Gianni, e naturalmente con sempre appresso la cognata Magdala, andava a passarli là in campagna.


Principalmente fu per questo motivo che Elisa, ora che anche Lucia se ne era andata per sempre, si distaccò dalla villa di Racconigi, che era così piena di tanti ricordi, che la riempivano di tristezze e di tanta malinconia.
Con calma avrebbe, sì, forse un giorno deciso di risistemare anche quella, ma più volte si chiese se poi ne sarebbe valsa la pena, perché molto probabilmente a Racconigi lei non ci sarebbe mai più ritornata.
Iniziò pertanto a fare un mezzo trasloco, ovvero andò più volte a Racconigi con due operai ed un camion, a caricare tutte le cose più belle e di valore, mobili, quadri, stoviglie e suppellettili varie.


Elisa servì una bibita fresca in giardino e poi si rivolse a Gigliola: «Mi fa molto piacere che tu sia qui con me qualche giorno… il ricordo di quando eravamo ragazze ed insieme trascorrevamo i pomeriggi in giardino a Racconigi è sempre vivo… peccato che poi per tanti anni le nostre vite si siano così allontanate… ma ora che stiamo invecchiando e che in fondo noi due siamo rimaste da sole, cara Gigliola! occorre che ci rivediamo più spesso e che riprendiamo i nostri antichi rapporti».
Gigliola non rispose, ma in cuor suo provò, malgrado tutto, una forte emozione, perché da sempre aveva sofferto per aver interrotto il buon rapporto che da ragazza la legava ad Elisa.
Non le perdonava di certo i tanti errori e gli sgarbi subiti, ma in tutti quegli anni non era mai riuscita veramente ad odiarla.


Gigliola, assolutamente sorpresa (davvero non si sarebbe mai aspettata quella proposta da Elisa) non seppe al momento che cosa risponderle, tuttavia le disse: «Elisa, sì certamente le mie radici sono in queste amate terre piemontesi, ed i ricordi della mia infanzia e della mia gioventù sono assai legati a questi luoghi… ma sono quasi cinquant’anni che vivo lontano da qui, in altre terre a Bologna, ed ora la mia vita ed i pochi anni che mi restano ancora sono là… e poi là ci sono i miei figli ed i miei nipoti, che con il Piemonte ormai non hanno più alcun legame, se mai l’hanno avuto!»


La vera cosa curiosa fu che Elisa avesse iniziato a descrivere ogni singolo pezzo, mobile, oggetto o quadro, dandone in maniera esplicita il suo reale valore economico, e che poi ad un certo puntò avesse detto: «Voglio che tu, Pino… e lo dico qui davanti ai tuoi amici che sono testimoni… ti imprima bene nella mente tutto quello che c’è in questa casa, ed il valore che hanno tutti questi oggetti belli e preziosi, perché tutte queste cose un giorno saranno tue… tutte! E che nessuno ti porti via niente! Tu sei l’unico che le ama e le apprezza… e, a differenza dei tuoi fratelli e cugini, tu sei l’unico che viene ogni tanto a salutarmi e perfino a… presentarmi i suoi amici!»


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Capitolo 40 - La fine di Elisa Piavotto
  


Dopo la morte di Lucia Piavotto, sua sorella Elisa si era molto riavvicinata alla nipote Gigliola, alla quale indirettamente aveva fatto capire che probabilmente lei sarebbe un giorno divenuta sua erede. Gigliola comunque non aveva mai voluto esplicitamente chiedere alla zia quali sarebbero state le sue volontà testamentarie. 
Nel capitolo 40 siamo nel 1996. Elisa sta male e viene operata per un blocco intestinale, ma con l'intervento i medici scoprono un tumore intestinale.
La ripresa è molto lenta, il male non regredisce e ai primi di agosto 1997 suo marito avvisa Gigliola che la zia è prossima alla fine. Gigliola corre subito a Torino, ma la trova ormai in coma, non più in grado di riconoscere e di parlare. Dopo pochi giorni Elisa muore e il 16 agosto si svolgono i suoi funerali.
Viene sepolta a Pinerolo nella tomba della famiglia Bulléra. Gigliola è presente assieme ai suoi tre figli. Pino durante il funerale in preghiera ringrazia la zia deceduta, convinto che lei abbia predisposto di lasciare la sua bellissima casa e tutti i suoi capitali a sua mamma Gigliola. Al cimitero, durante la sepoltura, Pino ascolta casualmente la sorella di Gianni Bulléra mentre parla con un conoscente. Le sente dire che non sa se la casa di Torino di sua cognata Elisa, potrà essere di suo fratello e quindi anche sua. Magdala Bulléra dice esattamente: "Non so se andrò mai a vivere in quella casa, perchè prima occorrerà vedere come veramente andranno a finire le cose".
Questa frase sottintende che Magdala è al corrente che la casa di Elisa era stata intestata al fratello Gianni in virtù di un compromesso, ma che sarebbe dovuta andare in successione ai nipoti di Elisa.
Pino però è ignaro di tutto e non riesce al momento a dare un senso a quanto sentito dire da Magdala.






dal Capitolo 40


Ma non fu così, perché ai primi di settembre, una sera, Elisa stette malissimo e suo marito Gianni, che era medico, dovette chiamare d’urgenza un’autoambulanza e farla portare al pronto soccorso. Le diagnosticarono un blocco intestinale e pertanto fu ricoverata ed operata d’urgenza.

Dopo un paio di giorni fu Gianni Bulléra a chiamare al telefono Gigliola, per metterla al corrente di che cosa in realtà si trattava: «Gigliola, tu sai che hanno operato tua zia, pensando ad un blocco intestinale, ma purtroppo aprendo i chirurghi hanno trovato una grossa massa tumorale, che le hanno asportato, insieme a parte dell’intestino… non è una bella notizia, anzi direi che c’è da esserne assai preoccupati! Penso che una tua veloce visita in clinica, a lei farebbe di sicuro un grande piacere».


Trovò Elisa particolarmente affranta, non tanto per la sua reale situazione di salute, che comunque lei ancora non aveva ben chiara, ma perché lei avrebbe dovuto rinunciare a partecipare ad un evento mondano, particolarmente importante.

Elisa andò nell’office, dove sul tavolino del telefono teneva la corrispondenza appena arrivata, e prese un biglietto invito in pergamena, che pochi giorni prima le era giunto, e lo mostrò a Gigliola. Era l’invito personale ad essere presente al Matrimonio di Giovannino Agnelli, il figlio di Umberto, che si sarebbe celebrato a Torino pochi giorni dopo, l’ormai prossimo 16 novembre 1996.
Fu proprio questo il fatto più sconvolgente per Elisa, che la sua malattia le stava procurando, perché per la prima volta, ad ottant’anni compiuti, lei si rese conto che la sua salute da quel momento sarebbe stata per lei molto più importante delle sue frequentazioni mondane, che fino ad allora erano state il vero scopo di tutta la sua vita.


Gigliola non ebbe comunque mai il coraggio di chiederle chiaramente se lei avesse predisposto un testamento, perché lo ritenne indelicato ed inopportuno, e poi ragionando si convinse che a lei sarebbe comunque spettato molto di più, ricordando che le aveva offerto la casa di Racconigi, dopo la morte di zia Lucia e che le aveva detto che tra i nipoti lei era l’unica ad avere dei figli.



Quando lei si presentò alla porta, Gianni, in maniera quasi sgarbata, le ricordò di averle detto di non andare e poi, quando lei fu in casa, le proibì di recarsi nella camera da letto.

Gigliola alzò un poco la voce e rivolta a Gianni disse con tono seccato: «Caro zio, veramente in questo momento io me ne infischio di quello che tu stai dicendo… Elisa, prima di essere stata tua moglie, è stata la sorella della mia cara mamma, ed ora se lei è in punto di morte ha assoluto bisogno della mia mano, certo più che della tua!»


La scelta di tumularla a Pinerolo nella tomba della famiglia Bulléra fu presa univocamente dal marito Gianni, il quale non poteva davanti alla gente del paese fare la brutta figura di separarsi dalla moglie da morto.

Ma se la gente di Pinerolo avesse saputo, quanto in realtà erano andati poco d’accordo i coniugi Bulléra, in quei trentacinque anni di Matrimonio! Se avesse saputo che loro si erano sposati solo per onorare un compromesso, che Elisa aveva imposto, pur di cambiare la sua vita da quella di ricca provinciale a quella di nobile ed aristocratica cittadina!


Magdala Bulléra stava parlando sottovoce con un tale, di circa una sessantina di anni, con un po’ di pancetta e che aveva un inconfondibile accento milanese.

Costui, senza immaginare che alle sue spalle un nipote di Elisa avrebbe ascoltato quello che stava per dire, chiese a Magdala: «Quindi, cara Magdala, ora potrai finalmente andare a vivere in quella meravigliosa casa di tuo fratello!»
E Magdala gli rispose: «Ah, non lo so! Credo che bisognerà prima vedere, purtroppo! come andranno veramente a finire le cose…»

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