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MAL(e) D'AFRICA
Capitolo 31 - La bella vita di Elisa
  


E' il capitolo in cui l'Autore vuole mettere in risalto quanto Elisa Piavotto negli anni Sessanta, dopo il Matrimonio del '62, abbia potuto condurre una vita agiata, avendo una forte disponibilità di denaro.
In questi anni lei arriva ad avere praticamente il controllo dei conti bancari della sorella Lucia e del miliardario fratello Tonio. 
Frequenta ambienti mondani e nobili della Torino di quegli anni, realizzando completamente quello che era stato il suo sogno, ovvero divenire una rappresentante dell'alta aristocrazia torinese.    


dal Capitolo 31


Elisa, dopo che si era sposata ed era andata a vivere a Torino, e specialmente dopo che, nel marzo del 1965, le era morta la mamma, incominciò veramente a fare una gran bella vita, nel senso che finalmente si sentì totalmente libera di gestire il suo tempo, e tutti i suoi soldi, senza dover più renderne conto a qualcuno, neppure a suo marito, il dottor Gianni Bulléra.
Già, lui molto altezzoso ed anche molto presuntuoso, fuori si dava un mucchio di arie per dar d’intendere a tutti di essere un gran signore, ma poi quando era in casa, sapeva di dover mettere la coda tra le gambe, stare zitto e fare tutto e soltanto quello che sua moglie, la padrona, gli ordinava di fare.


Elisa sapeva che Lucia mai sarebbe andata da sola alla banca ed allora decise pure che il conto corrente che Lucia deteneva a Racconigi, potesse essere estinto ed il suo denaro trasferito tutto sul suo conto al Credito Italiano, cointestando naturalmente lo stesso ad entrambe.
E così fu fatto e da quel momento Elisa gestì pure tutto quello che era di sua sorella Lucia, la quale non sarebbe mai andata da sola in quella banca e, sebbene ora fosse intestata anche a lei, non avrebbe mai aperto quella cassetta di sicurezza, che conteneva il codice per accedere al conto di Lugano, del quale pure Lucia ignorava l’esistenza.
Ogni qual volta Lucia avesse avuto bisogno di denaro, Elisa le avrebbe fatto un assegno o più facilmente glielo avrebbe dato in contanti, ma in realtà Lucia ne aveva ben poco bisogno, perché tanto a pagare ogni cosa per lei ci pensava sempre sua sorella.


Tra il 1962, anno del suo Matrimonio e la fine degli anni Settanta, Elisa Piavotto in Bulléra, fece veramente, come già detto, una gran bella vita.
Sempre elegantissima, sempre con i suoi lunghi capelli biondo cenere raccolti in un raffinato chignon, con pochi ma raffinati gioielli, non ostentati, ma portati con disinvoltura e con classe, lei ovunque si presentasse faceva una gran bella figura e tanto a molti ricordava, sia nei lineamenti del viso, con due bellissimi occhi azzurri, sia nell’elegante comportamento, la principessa Grace di Monaco.
Il marito Gianni Bulléra, un bell’uomo, alto, elegante e distinto, aveva una carica importante nel Lions Club torinese, poi era membro del Rotary ed aveva un’onoreficenza come Cavaliere di un qualche ordine di Cavalleria.
Lui, nobile decaduto e nobile squattrinato, godeva così di una posizione sociale altissima e chi non lo conosceva bene pensava che di certo lui fosse un gran principe o un ricco marchese, comunque un signore!
Elisa, impeccabile, non mancava mai di essergli accanto in quelle occasioni e ci faceva sempre la sua bellissima figura, e pure lui poteva vantarsi di avere al suo fianco una moglie così distinta e così raffinata.
In quegli anni gli impegni mondani per Elisa furono tanti, quelli che la vedevano al fianco del marito importante e quelli che invece vedevano lei in prima persona come ospite a ricevimenti in ville e palazzi nobili, compreso a volte a casa Agnelli.



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Capitolo 32 - Gigliola in Somalia
  


Nel 1969 Gigliola Trioglio trascorre una vacanza in Somalia, ospite del fratello Vico.
Da quando era bambina la Somalia era stata presente nella sua famiglia, per lei quindi una grande emozione poter andare a visitarla. 
L'occasione viene perchè in Somalia vi potrebbe essere l'opportunità per Gigliola di insegnare al Liceo Scientifico di Mogadiscio. 
E' dal 1958 che i rapporti tra Gigliola e Vico sono molto tesi. Con la sua andata in Somalia Gigliola riesce a chiarire con il fratello le incomprensioni che vi erano state e quindi a fare pace con lui.
Vico la mette al corrente che lo Stato italiano sta liquidando i danni di guerra subiti in Somalia alle loro aziende ed incarica la sorella, prima del suo rientro in Italia, di occuparsene lei.



dal Capitolo 32


Per comprendere meglio quello che stava accadendo, Gigliola, si rivolse ad un sindacato della scuola e così, parlando con un rappresentante, venne a scoprire che proprio in quel periodo erano aperte le domande, da parte di insegnanti interessati, per essere inseriti in speciali liste di docenti disponibili all’insegnamento in scuole italiane all’estero. Era il mese di maggio del 1969. Gigliola scoprì che a Mogadiscio, in Somalia, per la sua materia si stavano cercando due insegnanti al liceo scientifico, che era stato istituito presso una scuola italiana.


Ma la grande tensione e le fortissime emozioni, che lei sentiva dentro, erano per la gioia immensa che stava provando, ossia la consapevolezza che stava andando laggiù in Africa, in quella lontana Somalia, tanto immaginata e vissuta nei racconti che faceva zio Amelio e poi zio Tonio e poi ancora Vico, ogni volta che uno di loro rientrava in Italia e si ritrovava in famiglia a Piobesi d’Alba, nella cascina di papà Nadu, o a Racconigi in casa di nonna Vittorina.


La cosa più bella fu l’aver fatto pace con Vico.
Ebbero il tempo di passar molte sere a parlare di tutto quello che era accaduto in quei lunghi decenni e Vico fu interessato a capire che cosa davvero era successo, ed ammise che lui non si era mai sforzato di vedere come esattamente erano andate le cose. E poi lì c’era sempre stato zio Tonio che lo aveva condizionato.
Dopo quasi vent’anni che Vico viveva in Somalia, solo allora, parlandone con sua sorella Gigliola, lui riuscì ad aprire gli occhi veramente ed a capire quanto zio Tonio l’avesse imbrogliato e pure ingannato, quando vendette la cascina e le terre di papà Nadu per farne lui solo un affare! E pure tutti quei soldi che lui e zia Elisa avevano accumulato, Vico non immaginava che fossero così tanti.
Da vent’anni lui era in Africa, non era mai ritornato a Torino, né a Racconigi, non sapeva e non immaginava che Elisa vivesse in una specie di reggia.


Gigliola era da sempre un’artista ed in Italia, prima di partire, nel preparare le sue valige, decise di portare con sé la sua cassetta dei colori e dei pennelli.
«Chissà – aveva pensato – che non mi venga l’ispirazione e la voglia di dipingere!»
Con la sua grande sensibilità, ogni attimo vissuto in Somalia le creò quell’ispirazione e, se avesse solo dato retta a quello che lei provava dentro, avrebbe dipinto in continuazione… le sue emozioni si sarebbero impresse su di un foglio di carta, molto di più di quello che avrebbero potuto trasmettere le centinaia di fotografie che furono fatte. Comunque lei trovò il tempo per dipingere alcuni acquarelli ed in quei momenti, estraniata da tutto, lei si sentì estremamente gratificata.




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Capitolo 33 - La prima causa in Tribunale
  




Gigliola rientra dalla Somalia e si reca a Roma per confermare la sua disponibilità ad insegnare all'estero, ma viene a sapere che a Mogadiscio non vi sono più cattedre disponibili. Il suo progetto non si realizza.
Ottiene dal fratello la procura per procedere alla richiesta della liquidazione dei danni di guerra, ma con gli zii Piavotto di Racconigi si creano dei contrasti che portano la questione in Tribunale e all'apertura di una Causa Civile.
Il cugino notaio le consiglia di unirsi alla zia Nina e andare in Causa contro gli zii Tonio, Elisa e Lucia, dal momento che potrebbe essere messa in discussione anche la Successione della nonna Vittorina, morta da quattro anni e che con testamento aveva nominato eredi le figlie Elisa e Lucia, escludento gli altri figli. Quel Testamento potrebbe essere impugnato.
Prima che la Causa si concluda con una Sentenza del Giudice, Tonio, Elisa e Lucia liquidano la sorella Nina e i nipoti Gigliola e Vico con una cifra assai bassa. Loro accettano per non attendere una Sentenza che sarebbe arrivata dopo diversi anni.




dal Capitolo 33


Ma quel viaggio a Roma fu inutile, perché per Mogadiscio non vi era più possibilità, eventualmente era disponibile la sede di Nairobi in Kenia, o del Cairo in Egitto.
Gigliola, per ovvi motivi, sarebbe stata disposta ad andare solo in Somalia, anche se aveva scoperto che l’Africa era un continente misterioso ed affascinante e lei, con il suo carattere e la sua grinta, sarebbe andata dovunque, se fosse stata sola, senza figli e senza un marito.
Così accantonò quella prospettiva di lavoro ed al primo di ottobre riprese a fare l’insegnante incaricata in una scuola della provincia bolognese ed a riscuotere quel misero stipendio che per quel lavoro le spettava.


L’ammontare del risarcimento dei danni di guerra, che arrivava da Roma, non era poi una cifra così alta, poche decine di milioni di lire, e quindi sarebbe stato assolutamente normale che le sorelle Elisa e Lucia Piavotto avessero accettato di dividerla tra tutti.

Ma loro si impuntarono e decisero che assolutamente non sarebbe stato così.
A Racconigi c’era anche l’altra sorella Nina Piavotto, che faceva la cassiera nella macelleria del marito, che era sempre rimasta fuori da tutte quelle questioni, anche se non aveva ben digerito il fatto che mamma Vittorina avesse lasciato come sue eredi Elisa e Lucia ed avesse escluso lei. Ora anche lei la sua parte dei danni di guerra pretendeva di averla.


Gigliola ottenne dal fratello Vico la procura speciale per agire in suo nome e dovette ritornare ad Alba da Rino Porra per decidere come procedere.

Lui le consigliò di costituirsi come terza parte in causa, insieme alla zia Nina, contro Antonio Piavotto, da un lato, e contro Elisa e Lucia Piavotto, dall’altro. Questo perché si poteva forse richiedere l’annullamento del testamento della nonna Vittorina, in quanto lei non avrebbe potuto escludere dalla sua successione alcuni figli rispetto ad altri, senza che gli esclusi avessero esplicitamente rinunciato all’eredità.
Insomma, una storia piuttosto complicata che avrebbe potuto innescare grosse incomprensioni, se non addirittura vere e proprie liti tra fratelli e sorelle, tra zii e nipoti.



Forse anche gli altri attori di quella causa, ovvero Tonio, Elisa e Lucia, si resero conto che la sentenza sarebbe arrivata dopo diversi anni e che alla fine probabilmente avrebbero perso e quindi avrebbero dovuto pagare. Perdendo avrebbero poi anche dovuto risarcire le spese legali sostenute da Gigliola e da Nina.

Ed allora, forse consigliati dai loro avvocati, ad aprile del 1971 presentarono un’offerta alla controparte per risolvere e concludere in accordo la causa, senza attendere la decisione di un Giudice.
Gigliola e zia Nina decisero di accettare e si accontentarono di quei pochi milioni (davvero quattro soldi!) che Elisa liquidò con un assegno.
Fu veramente una presa in giro!
Ancora una volta quei parenti ricchi di Racconigi si erano presi la soddisfazione di umiliare la nipote povera di Bologna, senza però, ancora una volta, rendersi conto che la nipote di Bologna, Gigliola, continuava a guardarli dall’alto al basso e con la sua intelligenza li sapeva giudicare per quello che erano… e che certamente non provava alcuna invidia per loro!



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Capitolo 34 - Un figlio di Gigliola in Somalia
  


Nel 1975 Pino, uno dei tre figli di Gigliola, decide di andare in Somalia a trovare gli zii. Un po' per la grande voglia anche per lui di conoscere l'Africa, così presente da sempre nella sua famiglia, un po' per la strana idea di eventualmente andare a lavorare e vivere in Somalia. 
Quasi come se le profezie di sua nonna Verin, fin dal 1931 quando Ceti trovò la morte dopo essere partito per l'Africa, si avverassero, anche per Pino la morte gli è stata vicina durante questa sua vacanza: una scampata tragedia all'arrivo dell'aereo a Mogadiscio e una pericolosissima infezione tropicale manifestatasi appena due giorni dopo il suo rientro in Italia. 
Malgrado questo il viaggio in Africa di Pino gli lascia dentro un grande fascino e quell'inspiegabile sentimento nel cuore e nell'anima che è chiamato "mal d'Africa".




dal Capitolo 34


Questa cosa fece scattare tutto ad un tratto nella mente di Pino uno strano ed un po’ folle pensiero: “Perché non scrivo a zio Vico che avrei una gran voglia di andarlo a trovare? Poi quando sono là, se mi piace come si vive in Africa, potrei chiedergli di aiutarmi a trovare un lavoro da quelle parti”.
Pino sapeva che in Somalia, in quegli anni, c’erano grosse imprese italiane che stavano operando, da quelle che asfaltavano le strade, a quelle che stavano costruendo un grande zuccherificio o il nuovo aeroporto di Mogadiscio. Si stava anche realizzando vicino a Mogadiscio una grande e moderna fabbrica per la preparazione di prodotti di mare in scatola. Pino aveva ottenuto il diploma di geometra ed un lavoro da tecnico avrebbe forse potuto saltar fuori, e poi zio Vico aveva tante conoscenze laggiù ed una sua parola sarebbe stata utile ed importante.


Ottenne il posto vicino all’oblò e così poté osservare le luci di Roma, mentre l’aereo si alzava. Peccato che da Roma era partito a mezzanotte e così quello che dall’oblò Pino poté vedere, dopo le luci di Roma, fu il buio assoluto.
Poi dopo un paio di ore altre luci, era il Cairo in Egitto, ed il primo atterraggio per Pino. Ebbe un attimo di paura quando sentì il carrello che toccò la pista, gli parve uno schianto!
All’alba si stava sorvolando l’Arabia Saudita e poi un altro atterraggio a Jedda, in pieno deserto, vicino alla Mecca. Infine l’ultima tratta Jedda – Mogadiscio, circa quattro ore di volo.
Il comandante annunciò l’inizio delle operazioni di atterraggio e comunicò che a Mogadiscio c’era maltempo, pioggia e cielo molto nuvoloso. Era successo che proprio quel giorno la Somalia fosse investita da una fortissima perturbazione e che la città di Mogadiscio fosse colpita da un eccezionale nubifragio tropicale e, cosa più unica che rara da quelle parti, avvolta completamente da una nebbia fittissima.


Poi la voce di una hostess al microfono annunciò: «Il comandante comunica ai signori passeggeri, che a seguito dell’impossibilità di atterraggio all’aeroporto di Mogadiscio, causa maltempo, il volo è dirottato al più vicino aereoporto possibile, ovvero a Nairobi in Kenia, circa due ore e trenta minuti di volo su una rotta di circa duemila chilometri l’atterraggio all’aeroporto di Nairobi è previsto alle ore 11,30… buon proseguimento del viaggio!»
Nairobi? Come dire che invece che a Roma uno atterri a Parigi!
Pino, stanco ed anche un poco sconvolto, fu davvero scocciato di questo contrattempo e cambiamento di programma.


Il medico non capì assolutamente che cosa fosse che aveva colpito Pino, ma quando seppe che era appena tornato dall’Africa disse, con tono preoccupato: «Una ventina di giorni fa, un mio carissimo amico che era appena rientrato dal Kenia, in Africa, è stato colpito da febbre alta e dopo una settimana è morto! Un attacco fulminante di malaria… credo sia urgente ed opportuno fare una visita specialistica da un dermatologo».
Pino si impressionò tantissimo per quello che il medico gli aveva detto e si sentì veramente avvilito e più che mai preoccupato.


Pino conservò per sempre il ricordo di quei mesi trascorsi in Africa, quell’Africa così equatoriale come la Somalia, ed ogni volta che gli sarebbe poi accaduto di riguardare le tante fotografie che aveva fatto, avrebbe sempre ogni volta sentito nel cuore e nell’anima una grande nostalgia di quei luoghi, così pieni di natura selvaggia, di cieli al tramonto meravigliosi, di tanti animali, di tante piante e fiori bellissimi, e di quello strano ed inconfondibile odore nell’aria, che sapeva di sabbia, di mare, d’incenso e di essenze orientali.


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Capitolo 35 - Il dramma di Vera
  


Vera Piavotto, la figlia di Tonio, iniziò a bere poco più che ventenne, un anno dopo il suo primo matrimonio, al punto che venne per questo lasciata dal giovane marito. Nel 1965 lei aveva ventiquattro anni quando il padre la trovò agonizzante, dopo che ubriaca aveva ingerito un tubetto di barbiturici. Ristabilita passò alcuni mesi in Somalia poi ritornata a Torino conobbe un ragazzo che divenne il suo secondo marito, dopo che il precedente matrimonio era stato annullato dalla Sacra Rota. Ma pure questo matrimonio fallì e Vera riprese a bere. Da allora quel vizio non l'abbandonò mai, malgrado una lunga terapia di disintossicazione in una clinica in Svizzera. Probabilmente oltre che di alcol Vera abusava anche di droghe. 
In Somalia conosce un impiegato del padre che si innamora di lei. Vera appare felice e temporaneamente smette di bere. Ma questo ragazzo muore in un incidente di immersione subacquea in Somalia, mentre lei è a Torino. Alla notizia lei fugge a Parigi e per oltre un mese nessuno ha sue notizie. E' poi lei a chiamare al telefono la zia Elisa dicendo di stare molto male. Elisa e Tonio vanno a prenderla a Parigi e la ritrovano nuovamente alcolizzata. Tonio se la porta in Somalia e con l'aiuto dell'altra figlia Manuela cerca di farla riprendere, naturalmente negandole alcun tipo di alcolici. Dopo cinque mesi a febbraio le due sorelle rientrano a Torino, perchè Vera sembra stare un po' meglio. Ma a maggio Manuela deve con urgenza ritornare in Somalia perchè il padre Tonio ha avuto una forte crisi cardiaca. Dopo pochi giorni la zia Elisa riceve una telefonata da un amico di Vera che le comunica che Vera è stata trovata morta nel suo letto.
Dopo due giorni si svolgono a Racconigi i suoi funerali, ma il padre Tonio e la sorella Manuela sono in Somalia. Vi è Elisa e pure la mamma Mariella distrutta dal dolore. Da Bologna si reca al suo funerale anche la cugina Gigliola, che ha un commovente incontro, dopo oltre venti anni, con la ex zia Mariella. La cosa che lascia tutti sorpresi è che la bara di Vera, morta a soli trentasei anni, viene portata a spalla dai due suoi ex mariti, che appaiono sinceramente commossi. 




dal Capitolo 35


Quella volta che suo padre la trovò in casa agonizzante, per aver ingerito un mezzo tubetto di barbiturici, lei fece capire a papà Tonio quanto la sua vita fosse fragile. Ed in effetti una grande fragilità ed una forte insicurezza erano nell’animo di Vera. Lei stessa a volte si chiedeva perché si sentisse tanto infelice. Non le mancava niente: aveva una lussuosa casa in piazza Castello a Torino; c’erano sempre tanti ragazzi che la corteggiavano e che le dicevano di essere molto bella; c’era, ogni volta che lei aveva bisogno, papà disposto a venirle incontro per esaudire ogni sua richiesta, eppure si sentiva infelice. Perché?


Al suo ritorno a Torino, Vera riprese la sua vita di sempre, dopo aver promesso a suo padre che non avrebbe nuovamente ceduto al vizio del bere. Conobbe un altro ragazzo e sembrò davvero che lui si stesse prendendo cura di lei e che di lei si stesse innamorando. Nel 1968 divenne il suo nuovo marito.
Sembrò a tutti che Vera fosse tornata felice, e perfino mamma Mariella ogni tanto poteva andarla a trovare alla torre Littoria.
La speranza di Mariella, ma anche di Tonio, in quel periodo fu che Vera potesse ritrovarsi incinta e fare un bambino, l’avrebbe molto aiutata ad avere più fiducia in se stessa e forse a sentirsi un po’ più realizzata.
Le cose non andarono così. Anche il secondo marito nel 1972 la lasciò, perché disse che lei in casa non faceva niente, che non sapeva cucinare, che pensava solo a farsi bella ed a spendere un sacco di soldi in cose inutili e superflue.
Dopo quel nuovo fallimento matrimoniale, Vera purtroppo riprese quel vizio, che già in parte l’aveva distrutta. Iniziò nuovamente a bere ed ad uscire ogni sera, rientrando a casa sempre tardi la notte e poi dormendo quasi tutte le ore del giorno.


Durante quei mesi che lei rimase in Svizzera, Tonio, mentre era a Roma per una riunione di lavoro, fu colpito da un leggero infarto miocardico. Sembrò nulla di grave, anche se lui dovette rimanere ricoverato in una clinica romana per quasi una quindicina di giorni. Poi si concesse un mese di riposo nella sua casa di San Remo, in compagnia di sua sorella Lucia.
Quando Tonio si sentì quasi pronto per ritornare in Somalia, lasciò San Remo ed andò a Lugano a trovare Vera. 
La vide tranquilla e contenta, i medici dissero che era pronta a lasciare la clinica, ma fu soprattutto lei che disse di avere voglia di ritornare alla Vita.
«Papà, credimi se ti dico che sono serena e che ho tanta voglia di stare un poco con te… so che mi hai voluto sempre un gran bene, ora voglio dimostrarti che anch’io te ne voglio, mi sento come guarita da quell’oscuro male che mi stava distruggendo… verrò giù in Somalia con te».


Appena ricevuta la tragica notizia, Vera assolutamente sconvolta e con una forte dose di calmante nel sangue, lasciò la sua casa di piazza Castello, prese un taxi per farsi portare alla stazione di Porta Nuova e salì sul treno Lione-Parigi.
Forse a Parigi conosceva qualcuno, perché vi rimase per oltre un mese. Ma in Italia, a Torino, nessuno per tutto quel tempo ebbe sue notizie e tutti, dalla mamma Mariella alla sorella Manuela, dalla zia Elisa al malato e distrutto papà Tonio, trascorsero quel mese nella più totale angoscia e disperazione.
Poi finalmente arrivò a zia Elisa una sua telefonata con la quale lei le chiedeva di andarla a prendere, che stava male.


Comunque sembrò in quel momento che Vera stesse un po’ meglio e lasciarla nuovamente da sola nella sua casa a Torino in fondo era giusto.
A trentasei anni nessuno può importi quello che devi fare, soltanto Vera da sola, con le sue stesse forze, avrebbe potuto ancora dare un nuovo senso alla sua giovane vita.
Il 17 di maggio, alla mattina alle nove, zia Elisa era nella sua casa a Torino e stava parlando con la governante, quando le squillò il telefono: 
«Pronto! Parlo con la signora Bulléra, la signora Elisa Bulléra?» chiese una voce maschile, che Elisa non seppe riconoscere. 
«Sì, sono io».
«Signora, lei non mi conosce… sono un amico di Vera… volevo soltanto avvisarla che sua nipote è stata trovata morta nel letto… ora l’hanno portata all’obitorio dell’ospedale Mauriziano».
Elisa rimase pietrificata e crollò di peso seduta sulla sedia che era dinnanzi al tavolino del telefono, continuando a tenere in mano la cornetta, anche se dall’altra parte non c’era più nessuno e la chiamata era già stata interrotta.

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